martedì 26 Agosto 2025
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Cinema, arte e responsabilità: un monito dal passato.

Il cinema, come lente d’ingrandimento dell’animo umano, si trova spesso a interrogare le profondità più oscure del nostro tempo.
Ritornando a *Miral*, un film che realizzai quindici anni fa, tratto da una toccante sceneggiatura di Rula Jebreal, avverto che la sua eco risuona ancora oggi, un monito contro la perpetua sofferenza che attanaglia il conflitto israelo-palestinese.
Quel film, per me, rappresentò un tentativo di elaborare una risposta, un’espressione di profondo disagio di fronte a una realtà di violenza inarrestabile.
La recente ondata di polemiche che ha coinvolto la Biennale di Venezia, con la richiesta del gruppo Venice4Palestine di ritirare l’invito a Gal Gadot e Gerard Butler (attori presenti nel mio film *In the hand of Dante*), è sintomatica di una frattura che va ben oltre il dibattito artistico.
La gravità dell’accusa – sostenere pubblicamente e attivamente il genocidio – merita un’analisi più approfondita, poiché interseca questioni di responsabilità, di diritti umani e del ruolo dell’artista di fronte alla sofferenza altrui.

È imperativo, e lo affermo con la massima fermezza, condannare qualsiasi atto che infligga danno ai bambini, ovunque si manifesti nel cosmo.
Il dolore infantile, la sua innocenza violata, rappresenta una ferita aperta nella coscienza collettiva.
Adulti, custodi di quella fragilità, hanno il dovere imprescindibile di proteggere, non di recare danno.

Questa è una verità universale, una bussola morale che dovrebbe guidare le nostre azioni.

La questione sollevata da Venice4Palestine non si riduce a una critica verso singoli attori o artisti.

Si tratta di una presa di posizione che interroga il sistema stesso, la capacità delle istituzioni culturali di affrontare temi delicati e controversi, e la responsabilità di chi, con la propria visibilità e influenza, può contribuire a perpetuare o mitigare il dolore.
L’arte, in ogni sua forma, ha il potere di sensibilizzare, di provocare, di ispirare il cambiamento.

Ma con questo potere deriva anche una responsabilità, quella di non prestare silenzio o legittimazione a comportamenti inaccettabili.

È fondamentale distinguere la critica politica, il dissenso legittimo, dall’adesione a ideologie che negano il diritto alla vita e alla dignità umana.
Il dibattito, per quanto acceso, deve rimanere ancorato ai principi fondamentali dell’umanità, all’imperativo di proteggere i più vulnerabili e di perseguire la giustizia.
L’arte, in questo contesto, deve essere un faro, non un amplificatore di sofferenza.

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