La Mostra del Cinema di Venezia, palcoscenico di sguardi e interpretazioni, ha visto ancora una volta sfiorare la sua storia con la figura enigmatica di Franco Maresco.
Nonostante precedenti mancate presenze, anche quando il suo lavoro era parte integrante della selezione ufficiale, la speranza di vederlo al Lido, quest’anno in concomitanza con l’uscita cinematografica di “Un film fatto per Bene” – opera presentata in concorso e distribuita da Lucky Red – era palpabile.
Andrea Occhipinti, produttore del film, si è dimostrato un sostenitore tenace, aggrappandosi all’illusione di una sua partecipazione fino all’ultimo momento.
L’imprevedibilità di Maresco, intrinsecamente legata alla sua arte e alla sua personalità, emerge con chiarezza nel film stesso, un’eco di quel carattere ribelle e anticonformista che lo contraddistingue.
Come sottolinea Occhipinti, l’assenza di comunicazione diventa parte integrante del suo metodo, una sorta di gioco che mette alla prova la pazienza e l’attesa di chi lo circonda.
Il silenzio, la non risposta, diventano strumenti di riflessione, spingendo a interrogarsi sulle motivazioni e sui significati di una presenza così ambigua.
Poi, la consueta replica: un rifiuto apparentemente casuale, una disconnessione dalla celebrazione ufficiale, un’affermazione di sé che trascende le convenzioni del tappeto rosso.
Come si può, in un simile scenario, argomentare a favore della partecipazione? Come si può contrastare un’autenticità che si manifesta proprio nel rifiuto di conformarsi?La vicenda riflette una più ampia riflessione sulla natura dell’artista, sul suo rapporto con il riconoscimento pubblico e sulla difficoltà di incanalare una creatività che si nutre di libertà e di indipendenza.
Maresco, con la sua assenza, si erge a simbolo di un cinema che non cerca l’approvazione, ma che si fa portavoce di voci e di prospettive altrimenti marginalizzate.
La sua figura, più che un’assenza, diventa una presenza concettuale, un monito a non confondere la celebrazione con la sostanza, l’apparenza con la realtà.
È un’assenza che parla, che interroga, che invita a una lettura più critica e consapevole del cinema e del suo ruolo nella società.