“La pioggia che non cade mai” si rivela non come un prodotto affrettato, bensì come un organismo maturo, frutto di una gestazione silente, paragonabile a quei mutamenti interiori che si manifestano solo a posteriori, quando la loro importanza diviene evidente.
Sergio Cammariere, con questa sua ultima creazione, non offre semplicemente un album, ma un vero e proprio invito all’introspezione, un’esortazione a rallentare il ritmo frenetico della vita, a concedersi l’occasione di una profonda respirazione, di un ascolto attento e consapevole.
A distanza di pochi anni dal suo precedente lavoro, “La pioggia che non cade mai” si presenta come un percorso artistico ricco di sfumature, un viaggio emozionale scandito da tredici brani che indagano tematiche universali: l’amore nelle sue molteplici declinazioni, la memoria come scrigno di esperienze passate, la distanza, fisica ed emotiva, e la resilienza, la capacità di rinascere dalle proprie ceneri.
Tutto concorre a delineare una narrazione sentimentale complessa, intessuta di relazioni giunte a conclusione, di attese sospese nel tempo, di riflessioni profonde sull’esistenza e sui suoi intrinseci misteri.
Il pianoforte, per Cammariere, non è uno strumento tra gli altri, ma un rifugio, un nucleo centrale attorno al quale l’intera architettura sonora prende forma.
Gli archi, con le loro sonorità avvolgenti e delicate, si dispiegano come un paesaggio sonoro, un orizzonte che accompagna la voce senza sopraffarla, creando un’atmosfera intima e suggestiva.
Ogni strumento, in questo contesto, si configura come un elemento del paesaggio, un frammento di esperienza, contribuendo a dipingere un quadro emotivo vivido e commovente.
L’album non è quindi una mera collezione di canzoni, ma un’esperienza immersiva, un invito a perdersi nella suggestività di un mondo sonoro dove la voce e gli strumenti dialogano in perfetta armonia, tessendo un racconto di speranza e di rinascita.








