lunedì 18 Agosto 2025
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Sorrentino a Sarajevo: tra ossessioni, silenzi e l’abisso dell’animo.

Il processo creativo di Paolo Sorrentino, svelato in una masterclass al Festival di Sarajevo, si configura come un viaggio in territori inesplorati dell’animo umano, un’immersione profonda in ossessioni e figure emblematiche che lo sfidano e lo affascinano.

Lungi da una ricerca metodica e pianificata, il regista napoletano descrive un percorso guidato da impulsi improvvisi, da quella scintilla inattesa che si trasforma in un’ossessione irrefrenabile.

“Non mi piacciono gli obiettivi, né la pressione di dover innovare,” confessa, rivelando una preferenza per l’attesa, per il silenzio fertile che precede l’irruzione dell’idea.
Il nuovo film, “La Grazia,” presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, si cela ancora dietro un velo di mistero, un’attitudine coerente con il suo approccio al cinema.
Pur non offrendo dettagli specifici, Sorrentino ripercorre il suo esordio al Lido con “L’Uomo in più,” un’esperienza disorientante che lo catapultò in un mondo sconosciuto, fatto di rituali e dinamiche incomprensibili.
Quel primo incontro con i giornalisti, la sua ingenuità di fronte a un universo che gli appariva alieno, costituiscono un aneddoto rivelatore della sua natura elusiva, della sua preferenza per l’osservazione discreta piuttosto che per la partecipazione attiva.
L’incredulità di fronte all’invito al Tribeca Film Festival, attribuito all’intervento di Robert De Niro, sottolinea ulteriormente la sua genuina sorpresa di fronte al successo e alla consacrazione.

Sorrentino si dichiara un cineasta che trova ispirazione nell’imperfezione, citando “Otto e mezzo” di Fellini come esempio di un capolavoro che si nutre delle sue crepe e delle sue contraddizioni.

La sua riluttanza ad affrontare adattamenti letterari o storici riflette una profonda convinzione: “Capisco solo le cose che scrivo”.
La creazione, per lui, è un atto di originale rivelazione, non di traduzione.

Il legame con Diego Armando Maradona, figura iconica del calcio e dell’immaginario collettivo napoletano, si configura come un elemento fondante della sua visione artistica.

L’arrivo del “pibe de oro” a Napoli, all’età di quattordici anni, fu per Sorrentino una rivelazione estetica, la scoperta di un “grande, incredibile spettacolo” che si riflette poi nella sua opera cinematografica.

La scelta di dedicare un dittico cinematografico a Silvio Berlusconi, figura controversa e polarizzante del panorama politico italiano, emerge come un tentativo di sondare l’abisso della mente umana, di comprendere le motivazioni e i meccanismi che animano individui radicalmente diversi da sé.
Sorrentino, dichiaratamente pigro e inappagato da una vita ricca di ambizioni, si lascia attrarre dalla vitalità, dall’entusiasmo e dagli obiettivi di Berlusconi, vedendo in lui una sfida esistenziale, un’opportunità di esplorare territori inesplorati dell’animo umano.
È un’attrazione ambivalente, quasi una forma di invidia, il desiderio inespresso di incarnare una personalità così dinamica e apparentemente inesauribile.
La sua arte, dunque, si configura come un viaggio nell’alterità, una ricerca incessante di modelli a cui aspirare, figure che, pur nella loro distanza, illuminano una parte nascosta e inespressa di sé.

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