La quinta stagione di *Stranger Things* si configura non solo come un epilogo, ma come un atto di resa emotiva, un tentativo di trasmettere al pubblico l’intensità del viaggio intrapreso dai suoi creatori, i fratelli Matt e Ross Duffer.
Lungi dall’essere una semplice conclusione narrativa, si presenta come un’immersione nel sentimento collettivo che ha permeato la realizzazione di un’opera decennale, un’eredità culturale che ha saputo catturare l’immaginario di intere generazioni.
La presentazione a Lucca Comics e Games, con la partecipazione del cast (in assenza di Millie Bobby Brown, impegnata a Los Angeles per la première globale), ha svelato un’architettura di uscita inedita, progettata per massimizzare l’impatto emotivo e permettere una fruizione più articolata della trama.
La scelta di dividere la stagione in tre volumi distinti – il 27 novembre per il primo (episodi 1-4), il 26 dicembre per il secondo (episodi 5-7) e il gran finale il 1° gennaio 2026 – non è casuale.
Essa riflette la portata monumentale del racconto e l’urgenza di concedere allo spettatore il tempo necessario per metabolizzare le rivelazioni, elaborare le perdite e interiorizzare la complessità delle relazioni che si concludono.
Questa divisione in volumi, con intervalli strategici, si pone come un esperimento narrativo audace, in rottura con le convenzioni tradizionali delle serie televisive.
Richiede al pubblico una pazienza e un’attenzione rinnovate, premiandole con un’esperienza di visione più profonda e coinvolgente.
È una scelta che sottolinea la centralità dell’aspetto emotivo, valorizzando la capacità della narrazione di creare connessioni durature tra personaggi e spettatori.
L’addio, elemento fondante di questa stagione conclusiva, assume una risonanza particolare.
Non si tratta solo di risolvere le trame e seguire l’evoluzione dei protagonisti, ma di affrontare la dolorosa necessità di chiudere un capitolo, di accettare il cambiamento e di lasciare andare ciò che è stato.
Come la crescita, l’addio è un processo intrinsecamente difficile, ma ineludibile.
I Duffer sembrano voler condividere con il pubblico la loro stessa esperienza di creazione, il peso dell’eredità che lasciano e la consapevolezza che, con la fine della serie, si conclude anche un periodo significativo delle loro vite artistiche.
Il loro desiderio è quello di regalare una chiusura degna di un’avventura durata un decennio, un momento di condivisione e commozione che risuoni a lungo nella memoria collettiva.







