Il tempo, implacabile scultore, modella il volto di Woody Allen, segnandolo con rughe profonde e accenni di rigidità che ne denunciano la quotidianità, un’esistenza che si protrae al di là della soglia ottantesima.
Lungi dall’esaltazione del traguardo, l’imminente novantesimo compleanno si presenta come un’occasione da eludere, un’affermazione silente di un animo che rifiuta la celebrazione effimera.
Non è più l’uomo di “Annie Hall”, proiettato verso un futuro ignoto con l’energia e l’ottimismo dei venticinque anni.
La prospettiva attuale è più complessa, intrisa di un’amara consapevolezza.
I dolori fisici, i piccoli acciacchi che si accumulano nel corso degli anni, non sono solo un dato di fatto biologico, ma un’eco tangibile del tempo che passa, un promemoria costante della propria mortalità.
Eppure, l’inerzia creativa, quella forza motrice che lo ha contraddistinto per decenni, non si è spenta.
L’idea di un nuovo film, il numero cinquantauno, fa capolino, un progetto che potrebbe materializzarsi tra le strade di Madrid, un atto di resistenza artistica contro l’oblio.
Questo desiderio di continuare a creare, a narrare storie, testimonia una resilienza inaspettata.
Allen non si arrende alla passività, alla contemplazione nostalgica del passato.
Il lavoro, per lui, è ancora un rifugio, un modo per dare senso all’esistenza, per interrogarsi sull’assurdità del vivere, sull’amore, sulla perdita, sui paradossi dell’esistenza umana.
Il rifiuto della celebrazione non è un gesto di arroganza o isolamento, ma piuttosto una dichiarazione d’intenti: la sua vita, con le sue gioie e i suoi rimpianti, è un romanzo in continuo divenire, un’opera d’arte che si dipana giorno dopo giorno, al di là delle date imposte e delle convenzioni sociali.
Il novantesimo compleanno, lungi dall’essere un punto di arrivo, è semplicemente un’altra tappa in un viaggio interiore, un’opportunità per continuare a osservare il mondo con la sua acuta, spesso cinica, ma sempre profondamente umana, lente.
La vera festa, per Woody Allen, non è una cerimonia formale, ma la possibilità di continuare a scrivere, a filmare, a pensare, a sentire, fino alla sua ultima inchiesta sulla condizione umana.







