La questione che contrappone l’Italia e la Commissione Europea in merito all’operazione di fusione tra Unicredit e Banco BPM si configura come un punto di frizione complesso, destinato ad accendere un dibattito più ampio sulla sovranità nazionale e la tutela degli interessi economici strategici in un contesto di integrazione europea.
Il fulcro della disputa risiede nell’esercizio del cosiddetto “golden power”, un meccanismo legislativo introdotto dal governo italiano attraverso un decreto presidenziale (DPCM) che consente allo Stato di tutelare interessi ritenuti essenziali per la sicurezza nazionale in operazioni di rilevanza strategica nel settore finanziario.
La Commissione Europea ha espresso preoccupazioni significative, contestando la compatibilità del DPCM con il diritto comunitario, in particolare con le norme che regolano la libera concorrenza e la libera circolazione dei capitali.
La preoccupazione centrale è che l’intervento statale, limitando le possibilità di scelta di Unicredit, possa distorcere il mercato e pregiudicare l’efficienza del sistema finanziario europeo.
La risposta del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, si fonda su un’interpretazione originale e assertiva del ruolo dello Stato, ancorata a una sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) che stabilisce un nesso inequivocabile tra la sicurezza economica e la sicurezza nazionale.
Questa interpretazione permette all’Italia di rivendicare la legittimità del suo intervento, sostenendo che la salvaguardia del sistema bancario italiano, considerato un pilastro dell’economia nazionale, rientra nella sfera delle prerogative sovrane dello Stato.
Tuttavia, la questione solleva interrogativi più ampi e complessi.
L’esercizio del golden power, sebbene legittimato da normative nazionali e da interpretazioni giurisprudenziali come quella citata, rischia di erodere i principi fondamentali del mercato unico europeo.
La possibilità per gli Stati membri di intervenire in maniera discrezionale in operazioni finanziarie strategiche apre a un rischio di frammentazione del mercato e di protezionismo economico.
Il caso Unicredit-Banco BPM non è dunque solo una disputa tecnica tra Roma e Bruxelles, ma un sintomo di una tensione più profonda tra la necessità di proteggere gli interessi nazionali e l’imperativo di mantenere l’integrità del progetto europeo.
La sfida per il futuro sarà quella di trovare un equilibrio tra questi due obiettivi, definendo limiti precisi e trasparenti all’esercizio del golden power, garantendo al contempo la capacità degli Stati membri di tutelare settori strategici per la sicurezza economica e il benessere dei loro cittadini.
La questione, in definitiva, pone l’interrogativo se, e in che misura, la sovranità nazionale possa essere legittimamente esercitata nell’era dell’integrazione europea.