L’attuale misura di detassazione degli aumenti contrattuali, applicata a redditi fino a 28.000 euro, genera un impatto economico marginale per una vasta platea di lavoratori, specialmente per coloro che si collocano appena al di sopra della soglia di accesso.
Prendendo ad esempio un lavoratore con un reddito lordo annuo di 30.000 euro, l’agevolazione si traduce in un beneficio mensile di circa 3 euro, un importo che incide minimamente sul suo bilancio familiare.
Questa apparente irrilevanza numerica, tuttavia, non deve distrarre l’attenzione dal nodo cruciale del cosiddetto “fiscal drag”, un fenomeno pervasivo che erode progressivamente il potere d’acquisto dei redditi medio-bassi.
Il fiscal drag si manifesta quando, a parità di salario nominale, l’aumento dell’inflazione e l’innalzamento dei livelli di tassazione (spesso dovuti a scostamenti tra l’inflazione reale e la rivalutazione dei salari) comportano un peggioramento reale della situazione economica del lavoratore.
In altre parole, anche se il salario aumenta, la sua capacità di acquisire beni e servizi diminuisce, perché una quota maggiore finisce in prelievi fiscali.
La detassazione limitata a una fascia di reddito così bassa, pur essendo un intervento positivo in sé, risulta insufficiente per contrastare efficacemente il fiscal drag.
Essa agisce come un palliativo, affrontando solo un aspetto parziale di un problema strutturale più ampio.
Il vero obiettivo dovrebbe essere una revisione complessiva del sistema fiscale, che tenga conto dell’evoluzione dei prezzi e del costo della vita, e che miri a garantire una progressività reale, in cui chi ha redditi più alti contribuisca in misura maggiore al finanziamento dei servizi pubblici.
Un approccio più efficace richiederebbe, ad esempio, l’ampliamento delle fasce di reddito agevolate, o l’introduzione di meccanismi di adeguamento automatico dei salari all’inflazione.
È altresì necessario considerare l’impatto della tassazione sugli aumenti salariali, per evitare che questi ultimi siano in parte o totalmente erosi da un sistema fiscale rigido e poco flessibile.
La discussione non può limitarsi a misure occasionali e mirate, ma deve aprirsi a una riflessione più ampia sulla sostenibilità del modello sociale e sulla necessità di redistribuire la ricchezza in modo più equo, garantendo al contempo la competitività del paese.
In definitiva, la reale sfida consiste nel creare un sistema fiscale che premi il lavoro, stimoli la crescita economica e protegga il potere d’acquisto delle famiglie, soprattutto quelle con redditi più bassi.





