La recente revisione dell’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF), presentata come un intervento mirato a sostenere il ceto medio, si rivela, sotto un’analisi più approfondita, un meccanismo che amplifica le disparità distributive, favorendo in misura preponderante le fasce di reddito più elevate.
Le recenti sessioni di verifica parlamentare hanno messo a luce le criticità intrinseche a questa misura, evidenziando come la sua applicazione non raggiunga gli obiettivi dichiarati di equità sociale e sostegno al reddito disponibile delle classi medie.
Le preoccupazioni non provengono solamente da osservazioni politiche, ma sono supportate da valutazioni autorevoli e istituzionali.
La Banca d’Italia, con la sua tradizionale indipendenza e rigore nell’analisi economica, ha espresso forti riserve sull’efficacia della riforma nel ridurre il divario di reddito.
La sua valutazione, corroborata dai rilievi convergenti della Corte dei Conti, dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) e dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB), dipinge un quadro allarmante: la manovra fiscale, pur nella sua intenzione, non incide significativamente sulla disuguaglianza, anzi, rischia di accentuarla.
L’effetto regressivo delle modifiche all’IRPEF è dovuto a una serie di fattori complessi.
La semplificazione delle aliquote, pur apparentemente vantaggiosa per tutti, tende a premiare i redditi più alti, che beneficiano in maniera sproporzionata delle riduzioni d’imposta, data la loro maggiore incidenza nel sistema fiscale.
Inoltre, la mancata revisione di alcune detrazioni e deduzioni, spesso orientate a favorire determinate categorie di contribuenti, contribuisce a perpetuare una situazione di iniquità.
La questione non si esaurisce con l’analisi puramente quantitativa.
Un’impostazione fiscale che non affronta in modo strutturale le disuguaglianze di reddito rischia di generare un circolo vizioso, alimentando tensioni sociali e compromettendo la coesione nazionale.
L’accumulo di ricchezza nelle mani di pochi, a scapito della maggioranza dei cittadini, può erodere la fiducia nelle istituzioni e ostacolare la crescita economica sostenibile.
Di fronte a queste evidenze, si rende urgente una revisione radicale della politica fiscale, che tenga conto delle raccomandazioni degli organi di controllo e delle esigenze di una società più equa e solidale.
Un approccio più mirato, che combini la riduzione del cuneo fiscale con interventi di redistribuzione del reddito, come il potenziamento dei servizi pubblici essenziali e l’implementazione di politiche attive per il lavoro, potrebbe rappresentare un percorso più efficace per raggiungere gli obiettivi di crescita inclusiva e benessere collettivo.
La sfida è complessa, ma l’imperativo di una maggiore giustizia fiscale non può essere ignorato.







