La paura di essere uccisa da Emanuele De Maria era una costante per la barista Chamila Wijesuriya, che lavorava all’hotel Berna a Milano. La 50enne aveva ragione a sentirsi in pericolo, dato che il detenuto per femminicidio stava svolgendo lavoro esterno proprio presso quell’albergo.La storia raccontata dalla Procura di Milano rivela un quadro sinistro di sottovalutazioni e mancate segnalazioni sulla pericolosità del 35enne. Le indagini hanno portato alla luce le testimonianze dei colleghi di lavoro, che avevano avvertito la vittima delle sue intenzioni omicide.Il giorno dopo il tragico evento che ha coinvolto la barista Chamila Wijesuriya, Emanuele De Maria ha tentato di uccidere un altro dipendente dell’hotel, Hani Fouad Nasra. Questo gesto conferma le paure della vittima e fa luce sulla condotta del detenuto.Gli investigatori stanno lavorando per comprendere il contesto in cui sono state sottovalutate le segnalazioni sulla pericolosità di Emanuele De Maria. Il caso è un esempio drammatico della necessità di attenzione e sensibilità nei confronti delle vittime di violenza domestica.Le autorità si stanno impegnando per garantire che simili episodi non accadano più nel futuro, ma la lotta contro i crimini di genere richiede un impegno continuo da parte della società civile. La storia di Chamila Wijesuriya è una dolorosa lezione sulla necessità di proteggere le donne dai pericoli insiti nell’ambiente in cui vivono e lavorano.Il quadro generale del caso, composto dalle testimonianze raccolte tra i colleghi della vittima e dagli sforzi investigativi delle autorità, getta luce sulla necessità di rafforzare le politiche volte a prevenire la violenza contro le donne.