Il processo per la presunta manipolazione di un certificato medico legato alla tragica scomparsa di Davide Astori, storico capitano della Fiorentina, si è concluso a Firenze con una sentenza che segna un capitolo significativo nella complessa vicenda. Il tribunale ha inflitto pene pecuniarie e detentive a Giorgio Galanti, ex direttore di medicina sportiva dell’ospedale Careggi, condannato a un anno di reclusione, e a Loria Toncelli e Pietro Amedeo Modesti, rispettivamente otto mesi e un anno di reclusione. Quest’ultimo, Modesti, era anche accusato di distruzione di atto pubblico, reato per il quale è stato giudicato responsabile.La richiesta di condanna del pubblico ministero Antonio Nastasi, più severa – tre anni e mezzo per Galanti, un anno e quattro mesi per Modesti e tre anni per Toncelli – è stata significativamente ridimensionata dal collegio giudicante. Questa riduzione è direttamente collegata alla non sussistenza dell’aggravante del “certificato fidefacente”, un elemento cruciale che avrebbe aumentato la severità delle pene. Il tribunale ha altresì respinto le istanze di risarcimento danni avanzate dagli avvocati delle parti civili, rappresentanti la compagna di Astori, Francesca Fioretto, la figlia Vittoria, i genitori e il fratello del calciatore, testimoniando una valutazione attenta e ponderata delle responsabilità legali in gioco.Al di là della sentenza e delle implicazioni giuridiche, il processo ha risvegliato un doloroso iter di indagini che hanno portato alla luce alcune anomalie nella gestione della salute del giocatore. La vicenda ha sollevato interrogativi cruciali sulla responsabilità del sistema sanitario sportivo, sulla corretta applicazione dei protocolli medici e sull’etica professionale dei medici legati al mondo del calcio. La figura del certificato medico, uno strumento che dovrebbe garantire la salute dell’atleta, si è trasformata in un elemento centrale di una vicenda intricata, intrisa di dolore e di sospetti.La testimonianza di Francesca Fioretto, compagna di Astori, ha espresso un profondo senso di giustizia e la necessità di una piena trasparenza, affermando che, al di là delle valutazioni legali, il fatto si è verificato e meritava di essere portato alla luce. La sua affermazione sottolinea l’importanza di un’analisi rigorosa e imparziale delle dinamiche che hanno portato alla tragica fine del capitano, al fine di evitare che simili eventi possano ripetersi.Va inoltre ricordato che Giorgio Galanti era già stato condannato in via definitiva per omicidio colposo, con una pena di un anno di reclusione e sospensione condizionale, una sentenza che prelude a una riflessione più ampia sulle responsabilità individuali e istituzionali che hanno contribuito a questa immane perdita. L’intera vicenda rimane un monito per il futuro, un invito a ripensare i protocolli sanitari e a rafforzare la tutela della salute degli atleti, veri protagonisti di un mondo dello sport che troppo spesso dimentica il valore primario della vita umana.
Astori, processo chiuso: condanne e ombre sul certificato medico
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