Un’onda di voci e bandiere ha investito oggi Camp Darby, a Pisa, in una manifestazione regionale promossa dalla rete Stop rearm Europe, raccogliendo un afflusso stimato in 1500 persone.
L’evento, di ampio respiro politico e sociale, ha visto la convergenza di un variegato panorama di attori: associazioni pacifiste, reti civiche, movimenti sociali, organizzazioni non governative, e sigle sindacali come la Cgil, affiancate da gruppi informali come il “Movimento No Base” e l’inedito “Nonne in lotta”.
La presenza di esponenti politici di rilievo, tra cui Maurizio Acerbo di Rifondazione Comunista e Irene Galletti, capogruppo del M5S in Consiglio regionale, ha conferito ulteriore peso all’iniziativa.
Al centro del dibattito, un’analisi critica delle dinamiche geopolitiche attuali e delle loro implicazioni sul tessuto sociale ed economico europeo.
Il ricordo del trentennale dal genocidio di Srebrenica ha offerto un monito doloroso, mentre la solidarietà al popolo palestinese ha rappresentato un richiamo all’attenzione per le gravi violazioni dei diritti umani in atto.
Raffaella Bolini, portavoce di Stop rearm Europe, ha acceso la manifestazione con un appello urgente a una mobilitazione transnazionale.
Ha denunciato la decisione di diversi paesi NATO di elevare le spese militari al 5% del PIL, una scelta che, a suo dire, comprometterebbe irrimediabilmente i sistemi di welfare, pilastri fondamentali per la coesione sociale e la protezione dei più vulnerabili.
Anna Maria Romano, della segreteria regionale della Cgil, ha espresso l’assoluta inaccettabilità di un sistema che impiega il lavoro e le vite dei cittadini per alimentare la macchina bellica.
La segreteria ha ribadito l’impegno a promuovere alternative pacifiche e a sostenere politiche che privilegino l’investimento nelle persone e nell’ambiente.
I rappresentanti del Movimento 5 Stelle, attraverso le parole di Irene Galletti, hanno espresso la ferma opposizione a un modello economico basato sulla guerra, che sacrifica i diritti fondamentali delle persone sull’altare degli interessi geopolitici.
La denuncia si è estesa alle complicità economiche e militari dell’Occidente, con particolare riferimento alla situazione in Palestina e alle critiche sollevate da figure come Francesca Albanese.
L’azione del governo Meloni è stata definita come un’integrazione attiva in un sistema che perpetua la logica distruttiva della guerra.
L’allocazione di oltre 500 miliardi di euro annui, pari al 5% del PIL europeo, a spese militari e infrastrutture belliche, è stata giudicata “folle” considerando le pressanti necessità in settori cruciali come sanità, istruzione, transizione ecologica e sostegno alle piccole imprese.
La manifestazione si è configurata come un chiaro segnale di dissenso verso un modello di sviluppo insostenibile e moralmente discutibile, invitando a una riflessione profonda sulle priorità della comunità europea e sulla necessità di investire in un futuro di pace, giustizia e prosperità condivisa.