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Fine Vita: Una Donna Implora Giustizia e Dignità

Il calendario politico e quello giudiziario sembrano danzare su un ritmo alieno al mio, un ritmo che ignora la cadenza inesorabile della mia sofferenza.

La discussione parlamentare sul tema del fine vita, rimandata a settembre, trasmette l’illusione che la mia malattia possa concedersi una tregua estiva, un’assurdità che amplifica il senso di ingiustizia.
Anche il sistema giudiziario, con le sue richieste di documentazione aggiuntiva e approfondimenti, sembra distaccato dalla mia realtà, prolungando un’attesa che si traduce in dolore, in una spirale di tormento e umiliazione.

Vi imploro, accelerate i tempi.

La mia storia, veicolata attraverso l’associazione Coscioni e sostenuta da Libera, incarna la complessità di una scelta dolorosa.

Sono una donna toscana di 55 anni, affetta da sclerosi multipla, e ho ottenuto l’accesso al suicidio assistito.

Tuttavia, la mia condizione di paralisi mi preclude la possibilità di autosomministrarmi il farmaco che potrebbe porre fine alle mie sofferenze.

Ho bisogno dell’assistenza di un medico, un aiuto che si rivela ostacolato da ostacoli burocratici e interpretazioni legali.

Il mio caso è confluito nell’attenzione della Corte Costituzionale, la quale, con una sentenza depositata di recente, ha dichiarato inammissibile un quesito sollevato dal tribunale di Firenze.
La questione riguardava la presunta illegittimità costituzionale del reato di eutanasia, ma è stata archiviata per una questione formale: la mancanza di un’adeguata motivazione riguardo alla disponibilità di dispositivi di autosomministrazione.
La Corte, in sostanza, ha evitato di affrontare il cuore del problema, la profonda riflessione etica e legale che ruota attorno al diritto di scegliere come e quando terminare una vita intollerabile.
Questa decisione solleva interrogativi cruciali.
Si tratta di un rinvio non solo formale, ma di un’occasione persa per confrontarsi con una realtà sempre più diffusa: quella di pazienti affetti da patologie degenerative e incurabili, che implorano la possibilità di una morte dignitosa.
Il diritto all’autodeterminazione, il principio di umanità, il rispetto della volontà del paziente – questi concetti, pilastri fondamentali del nostro ordinamento, sembrano vacillare di fronte a una legislazione rigida e inflessibile.
La vicenda pone l’accento sulla necessità di un dibattito pubblico più ampio e aperto, che coinvolga non solo i giuristi e i politici, ma anche i medici, i filosofi, e, soprattutto, i pazienti stessi.

È imperativo trovare un equilibrio tra la tutela della vita e il riconoscimento della dignità umana, anche quando la vita stessa si rivela una fonte inesauribile di sofferenza.

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