Un’infiltrazione complessa e ramificata all’interno del carcere La Dogaia di Prato è stata svelata da un’operazione congiunta che ha portato all’arresto di tre detenuti originari della Campania, rispettivamente di 26, 29 e 36 anni.
La scoperta, maturata a seguito di un’attenta attività di osservazione e indagine, ha rivelato un sistema di comunicazione clandestina, supportato da un’infrastruttura tecnologica sofisticata e da una rete di relazioni interne ed esterne al penitenziario.
L’episodio scatenante è stato l’individuazione dei tre detenuti impegnati in chiamate telefoniche illegali all’interno della loro cella, situata nella sesta sezione del carcere.
La loro attività comunicativa non era passata inosservata, soprattutto in considerazione della contemporanea presenza di droni che sorvolavano la struttura, suggerendo un collegamento diretto tra le comunicazioni clandestine e un’organizzazione esterna.
La successiva perquisizione della cella ha permesso di rinvenire un arsenale di oggetti proibiti, che testimonia la volontà dei detenuti di mantenere un controllo capillare all’interno del carcere.
Oltre a numerosi caricabatterie per cellulari, sono stati recuperati oggetti contundenti come un tirapugni e una lama rudimentale, insieme a punteruoli e forbici, strumenti potenzialmente utilizzabili per aggressioni o tentativi di fuga.
Particolare attenzione è stata riservata alla scoperta di farmaci detenuti in violazione delle prescrizioni penitenziarie, elementi che potrebbero aver alimentato dinamiche di dipendenza e di controllo.
Il quadro si è ulteriormente delineato grazie alla collaborazione di un detenuto, sottoposto a misure di protezione all’interno del carcere e che ha fornito informazioni cruciali agli inquirenti.
Secondo la sua testimonianza, i tre arrestati utilizzavano i telefoni cellulari per gestire un’attività illecita che si estendeva ben oltre i confini del carcere La Dogaia.
L’organizzazione, apparentemente radicata in ambito penitenziario, si occupava dell’approvvigionamento di sostanze stupefacenti, distribuite all’interno del carcere e in altre strutture detentive, nonché della fornitura di armi e, ironicamente, di ulteriori telefoni cellulari, perpetuando il ciclo di illegalità.
L’utilizzo di droni per il trasporto di questi beni rappresenta un elemento di estrema gravità e sofisticazione, capace di eludere i tradizionali sistemi di controllo.
Il procuratore Luca Tescaroli ha sottolineato come le informazioni fornite dal collaboratore siano state ampiamente confermate dai successivi accertamenti, frutto di un’indagine condotta con il contributo fondamentale di alcuni agenti della polizia penitenziaria di Prato.
L’operazione solleva interrogativi profondi sulla sicurezza delle strutture carcerarie e sulla necessità di implementare misure di controllo sempre più rigorose e tecnologicamente avanzate, al fine di contrastare efficacemente l’attività criminale all’interno dei penitenziari e di garantire la sicurezza degli agenti di custodia e dei detenuti stessi.
L’indagine è in corso e mira a fare luce sull’intera rete di relazioni interne ed esterne al carcere, identificando i responsabili dell’organizzazione che ha permesso l’infiltrazione di droga, armi e tecnologia all’interno della struttura.






