La Corte d’Appello di Genova ha respinto l’istanza di revisione del processo che vedeva coinvolto Mario Vanni, figura centrale nelle indagini sul cosiddetto “Mostro di Firenze”, relegando la richiesta al vaglio della Corte di Cassazione.
La decisione, emessa in merito alla presunta nuova prova scientifica fornita da una consulenza di entomologia forense, si concentra sulla datazione del delitto degli Scopeti, collocandolo due giorni prima rispetto a quanto precedentemente accertato.
La vicenda, profondamente radicata in una complessa trama di indagini, prove e controversie interpretative, solleva interrogativi cruciali sul ruolo della scienza forense nel processo penale e sui limiti di applicabilità di nuove evidenze scientifiche in una fase di revisione di una sentenza passata in giudicato.
La Corte d’Appello, contrariamente alle consolidate prassi giurisprudenziali, ha esaminato in maniera approfondita il merito della questione, un’anomalia che, secondo gli avvocati Valter Biscotti e Antonio Mazzeo, difensori del nipote di Vanni, costituisce un errore procedurale affetto da vizi di legittimità.
L’entomologia forense, branca specialistica che studia l’evoluzione del ciclo biologico degli insetti per determinare il tempo di decesso, si rivela, in questo caso, un elemento potenzialmente destabilizzante per le ricostruzioni investigative precedenti.
La sua applicazione, tuttavia, non è automatica e richiede una rigorosa valutazione della sua attendibilità, dei suoi margini di errore e della sua coerenza con il quadro complessivo delle prove.
La Corte genovese, nel suo elaborato motivazionale, non ha ritenuto che le nuove evidenze fossero sufficientemente robuste da giustificare una revisione del giudizio.
La decisione, sebbene apparentemente definitiva, lascia aperta la strada a un ulteriore grado di giudizio, dove la Corte di Cassazione dovrà valutare la correttezza dell’interpretazione giurisprudenziale adottata dalla Corte d’Appello e l’ammissibilità della prova scientifica.
Gli avvocati dei Vanni, prevedendo tale sviluppo, avevano già predisposto un ricorso in Cassazione, con l’intento di contestare l’errore procedurale commesso e di ottenere una nuova valutazione delle prove.
Un elemento aggiuntivo, che suscita interrogativi e alimenta la polemica, è la coincidenza temporale tra la decisione della Corte d’Appello e la rinnovata circolazione di informazioni sulla presunta paternità di Natalino Mele in relazione ai delitti, un dato, quest’ultimo, noto agli addetti ai lavori.
Questa concomitanza solleva il sospetto di una manovra volta a distrarre l’attenzione dalla potenziale incidenza dell’annullamento della sentenza, che potrebbe compromettere le posizioni degli altri imputati ancora in attesa di giudizio.
La vicenda del “Mostro di Firenze”, dunque, rimane un caso aperto, segnato da ombre, misteri e interrogativi che continuano a tormentare l’opinione pubblica e a sfidare la giustizia italiana.
La battaglia legale prosegue, alimentata dalla speranza di una verità processuale completa e definitiva.