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Riina, confermata la custodia cautelare: sentenza definitiva.

La giustizia italiana ha emesso una sentenza definitiva che sancisce la carcerazione di Maria Concetta Riina, figlia primogenita del defunto Totò Riina, figura apicale e spietata di Cosa nostra.
La decisione, giunta a seguito del rigetto in Cassazione del ricorso presentato dal suo avvocato Francesco Olivieri, conferma la custodia cautelare disposta in precedenza, un provvedimento che segna un capitolo significativo nella lotta contro la criminalità organizzata e le sue ramificazioni.

L’inchiesta, condotta dalla Procura di Firenze, ha ricostruito un quadro inquietante di estorsioni aggravate perpetrate ai danni di imprenditori toscani.
Maria Concetta Riina è accusata di aver esercitato pressioni e minacce nei confronti di due figure di spicco nel mondo degli affari, estorcendo denaro in cambio di una presunta protezione – un classico modus operandi mafioso.
Inizialmente, il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) aveva respinto la richiesta di custodia cautelare formulata dai pubblici ministeri.
Tuttavia, la Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Firenze ha impugnato tale decisione, ottenendo il via libera dal Tribunale del Riesame che ha disposto l’arresto.
Il successivo ricorso presentato dall’avvocato di Maria Concetta Riina alla Corte di Cassazione si è rivelato infondato, consolidando la validità della misura restrittiva.

Le accuse nei confronti di Maria Concetta Riina sono particolarmente gravi e illuminano un retaggio di intimidazione e sfruttamento che sembra averla accompagnata fin dalla giovane età.

Secondo le ricostruzioni, la donna avrebbe minacciato un industriale senese, arrivando a sottrarre beni per un valore complessivo di circa 1.450 euro.
Simili tentativi di estorsione, secondo l’indagine, avrebbero fallito anche in provincia di Pisa, dimostrando una strategia volta a estorcere denaro a imprenditori locali.
L’indagine non si limita a coinvolgere Maria Concetta Riina, ma estende la sua luce anche sul marito, già detenuto per una truffa, suggerendo una rete di attività illecite che si è sviluppata nel tempo.

L’episodio dell’industriale senese, con la sottrazione di generi alimentari, appare come un esempio concreto e scioccante di come la figlia di un boss mafioso abbia continuato ad agire secondo logiche di sopraffazione e ricatto, perpetuando un modello criminale che la società italiana si impegna a contrastare con fermezza.

La sentenza che ne è derivata rappresenta un monito e un passo avanti nella battaglia contro la criminalità organizzata, riaffermando l’imperatività di perseguire senza sconti chiunque, indipendentemente dal cognome o dal passato, si renda colpevole di reati gravi.

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