Il primo caso di suicidio assistito in Toscana ha generato una reazione complessa e profondamente commovente da parte di Laura Santi, giornalista di 50 anni affetta da sclerosi multipla progressiva e avanzata, da tempo in lotta per l’accesso a questa possibilità. Le sue parole, rilasciate all’ANSA, rivelano un sentimento ambivalente, un misto di dolore e una sorta di liberazione, un’eco di comprensione per chi ha compiuto una scelta così estrema.”Paradossale” definisce la stessa Santi la sua apparente felicità. Come si può gioire di fronte a una perdita, a una decisione che segna la fine di una vita? La risposta, intrisa di empatia, emerge dalla sua personale esperienza di sofferenza: “Io che soffro immagino come stava.” La sua prospettiva trascende l’egoismo del voler sopravvivere a tutti i costi, invitando a una riflessione più ampia sul significato della vita e sul diritto di scegliere quando la sofferenza diventa insopportabile.La sua dichiarazione non è una celebrazione della morte, ma una contestazione del diritto di soffrire inutilmente, un riconoscimento della dignità di chi desidera porre fine alla propria esistenza per alleviare un dolore fisico e psicologico insopportabile. La sopravvivenza, insiste Santi, non è un imperativo assoluto, ma una scelta che deve tenere conto della qualità della vita e della capacità di sopportare il peso del dolore.L’avverarsi di questo primo caso in Toscana è per lei motivo di un sottile, cauto sollievo. Non si tratta di un’approvazione acritica, ma di una conferma della validità del percorso intrapreso dalle regioni che, attraverso leggi locali volte a velocizzare le procedure e migliorare la risposta delle Unità di Salute Locale (USL), si stanno dimostrando più sensibili alle richieste di persone come lei. Queste leggi regionali, percepite come un elemento di progresso, rappresentano per Laura Santi una speranza concreta, un segnale che il sistema sanitario sta evolvendo verso una maggiore comprensione e un sostegno più efficace per chi si trova in condizioni di sofferenza estrema. Il caso toscano non è visto come un’eccezione, ma come un esempio da seguire, un modello per altre regioni che potrebbero adottare approcci simili, migliorando così la vita di chi, come lei, si trova ad affrontare una malattia debilitante e una sofferenza insopportabile.
Suicidio assistito in Toscana: il sollievo di chi soffre.
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