L’ingresso del “Mendicante Moro” di Giacomo Ceruti nel patrimonio delle Gallerie degli Uffizi rappresenta un evento di notevole importanza per la comprensione e l’approfondimento della pittura lombarda del Settecento.
L’acquisizione, successiva all’aggiunta del “Ragazzo con cesta di pesci e granseole”, colma un vuoto significativo nella collezione museale, offrendo una finestra privilegiata sulla ricerca artistica di un pittore che anticipa, con acuta sensibilità, le trasformazioni sociali e culturali che avrebbero segnato l’epoca moderna.
Ceruti, figura complessa e innovativa, si distingue per la sua capacità di elevare il soggetto popolare, spesso relegato ai margini della rappresentazione artistica, ad oggetto di indagine e di rispetto pari a quello riservato ai ritratti nobiliaire.
Il “Mendicante Moro” non è una mera rappresentazione di un mendicante, ma un’esplorazione profonda dell’individualità umana, restituita con una resa veristica che ricorda la precisione dei maestri fiamminghi, seppur filtrata attraverso la lente della pittura lombarda.
La monumentalità dell’opera, che evoca l’austera solennità dei ritratti classici, è in netto contrasto con le convenzioni iconografiche del tempo.
L’uomo, pur vestito di stracci, si erge con dignità, la sua figura illuminata da una luce che ne esalta la fisicità e, soprattutto, lo sguardo.
Quest’ultimo, vero fulcro dell’opera, non è uno sguardo di supplica o di pietà, ma un concentrato di esperienza, di fatica, di una vita intera racchiusa in due occhi profondi e intensi.
La profondità emotiva che traspare è resa ancora più efficace dal contrasto tra le iridi scure e la sclera chiara, una scelta pittorica che amplifica la sensazione di sofferenza e, al tempo stesso, di vitalità.
Ceruti, con questo dipinto, non si limita a documentare un fenomeno sociale, ma offre una riflessione sulla condizione umana, sull’uguaglianza e sulla dignità di ogni individuo, indipendentemente dalla sua posizione sociale.
L’opera, lungi dall’essere un semplice esercizio di realismo, si configura come un atto di partecipazione umana, un tentativo di comprendere e rappresentare la complessità dell’animo umano.
Il “Mendicante Moro” testimonia un cambiamento di prospettiva, un’apertura verso il popolo che si affianca all’emergere di valori ispirati all’Illuminismo, e lo fa con una forza espressiva che ne fa un caposaldo della pittura del Settecento italiano, un ponte tra tradizione e modernità.
L’acquisizione segna, come sottolineato dal direttore delle Gallerie degli Uffizi, un arricchimento inestimabile per la collezione, aprendo nuove prospettive di ricerca e di interpretazione del secolo dei lumi.







