L’eco di un’epoca tormentata risuona nell’opera di Cristiano Sabelli, che, attraverso un’audace rielaborazione del mito di Medusa, ci invita a un’esplorazione profonda della natura umana e del potere trasformativo dell’arte.
L’artista non offre una semplice rappresentazione del mostro, ma un’indagine complessa sul ruolo della paura, della resilienza e della possibilità di redenzione.
L’installazione, in alabastro e ossidiana, esposta presso la Saletta del Giudice Conciliatore a Volterra dal 18.30 di domani al 20 settembre, si pone in dialogo con il celebre “Scudo con testa di Medusa” di Caravaggio, reinterpretandone il significato in chiave contemporanea.
Laddove Caravaggio immortalò la Gorgone sconfitta, Sabelli ne cattura l’essenza in un momento di transizione, sospesa tra la condanna e la liberazione.
L’alabastro, pietra simbolo di purezza, bellezza e protezione, costituisce il substrato di questa metamorfosi.
La sua trasparenza, la sua capacità di modulare la luce, evocano l’idea di una verità nascosta, di una possibilità di rigenerazione.
A contrasto, l’ossidiana, pietra vulcanica dal profondo significato apotropaico, crea una superficie riflettente, uno specchio enigmatico che ingloba e proietta l’immagine della Medusa.
Non si tratta di una mera riproduzione iconografica, bensì di un invito a guardare oltre l’apparenza.
Lo sguardo non deve cadere sulla figura della Gorgone, ma sul suo riflesso, sul suo eco che si propaga nell’osservatore.
L’ossidiana, con la sua lucentezza, agisce da catalizzatore, un’armatura psichica che permette di confrontarsi con le proprie ombre, con i propri demoni interiori.
L’opera si configura quindi come un percorso di introspezione, un viaggio alla scoperta del sé.
Il riflesso della Medusa, imprigionato nell’ossidiana, non è un marchio di condanna, ma una chiave per sbloccare potenzialità sopite, per riemergere da traumi e paure.
È un’occasione per decostruire i propri “mostri”, non quelli esterni, ma quelli che ci imprigionano interiormente.
L’artista suggerisce che la vera battaglia non si vince annientando l’altro, ma comprendendo e trasformando le proprie paure, abbracciando la fragilità e riconoscendo il potenziale di cambiamento che risiede in ognuno di noi.
La Medusa, finalmente libera, rispecchia la possibilità di una liberazione simile anche per chi la osserva.