La selezione del repertorio del Festival di Sanremo rappresenta un esercizio di bilanciamento creativo tra tradizione e innovazione, un processo complesso che ogni anno impegna il direttore artistico e conduttore Carlo Conti.
L’impegno è considerevole: tra le 500 e le 600 canzoni presentate, occorre distillare una rosa di brani, quest’anno destinata a comprendere 26 artisti tra i “Big”, con una possibile estensione a 28.
L’anno precedente, l’impossibilità di restringere il campo aveva portato a un aumento a 30 partecipanti, evidenziando la difficoltà intrinseca di una scelta così selettiva.
Conti ha paragonato la scelta dei Big a un momento cruciale, un’analogia culinaria che svela la sua importanza: la “bistecca” che definisce l’esperienza, mentre il resto, le “patatine”, le “zucchine” e gli “spinaci”, rappresentano gli elementi secondari, essenziali per completare il quadro, ma non sufficienti a sostenerlo da soli.
Questa metafora enfatizza la necessità di un nucleo centrale di canzoni di qualità superiore, capaci di definire l’identità del Festival e di risuonare con il pubblico.
Un elemento fondamentale del Festival è il suo legame con l’Eurovision Song Contest.
La vittoria a Sanremo apre le porte all’Eurovision, ma la rinuncia del vincitore, come accaduto quest’anno con Olly, comporta la scelta di un rappresentante alternativo, in questo caso Lucio Corsi, classificatosi al secondo posto.
Questa procedura, gestita dalla direzione artistica e dalla Rai, riflette la continuità delle regole e il desiderio di mantenere la coerenza con le edizioni precedenti.
La stabilità del regolamento, giudicata positiva, testimonia l’efficacia del modello adottato e la volontà di non introdurre modifiche che potrebbero alterare l’equilibrio del Festival.
Il processo di selezione, pertanto, si ripete fedelmente, garantendo un legame solido tra il Festival di Sanremo e l’Eurovision, due pilastri fondamentali della musica popolare europea.