L’amarezza di Natali Shaheen, prima calciatrice palestinese a giocare in Italia, risuona come un grido di ingiustizia che interseca il mondo dello sport con la tragica realtà del conflitto israelo-palestinese. La sua partecipazione a un convegno a Firenze, intitolato “Lo sport come strumento di pace”, ha offerto una prospettiva disarmante, esponendo le contraddizioni e le asimmetrie che permeano la partecipazione di atleti israeliani a eventi sportivi internazionali.L’apparente normalità con cui Israele è accolto in queste manifestazioni contrasta violentemente con l’emergenza umanitaria che si consuma in Palestina, dove la violenza strutturale e gli attacchi militari si traducono in una perdita di vite incalcolabile, ben oltre le cifre spesso richiamate nel ricordo delle vittime israeliane. Il silenzio di un minuto, osservato in segno di cordoglio per le perdite israeliane, si rivela un’eco sorda di fronte al lutto collettivo palestinese, un monito all’invisibilità imposta a un intero popolo.L’esperienza personale di Natali Shaheen illustra vividamente le barriere concrete che impediscono lo sviluppo dello sport palestinese. Oltre al dolore e alla perdita, la sua testimonianza svela un intricato sistema di restrizioni che trasformano il semplice atto di allenarsi in un’odissea quotidiana. Il percorso tra le città, come Gerico e Ramallah, si rivela un labirinto di checkpoint israeliani, imprevedibili e arbitrari, capaci di interrompere il flusso della vita e dei sogni. L’impegno temporale richiesto, quattro ore per uno spostamento che avrebbe dovuto durare molto meno, è una metafora della perdita di tempo e di opportunità che il conflitto impone alla popolazione palestinese.La morte di figure emblematiche come Hani al Masdar, allenatore dell’Olimpica, sotto i bombardamenti, sottolinea la precarietà e il pericolo che gravano sugli addetti ai lavori e sui giovani atleti. Lo sport, che dovrebbe essere un ponte tra culture e un veicolo di speranza, diventa in questo contesto un’attività rischiosa, costellata di privazioni e di lutti.La riflessione di Natali Shaheen trascende la sfera sportiva, sollevando interrogativi fondamentali sulla responsabilità della comunità internazionale nel promuovere una pace duratura e nell’assicurare il rispetto dei diritti umani per tutti, senza discriminazioni. La sua speranza, unita alla sua determinazione, rappresenta un appello a superare le divisioni e a costruire un futuro in cui lo sport possa davvero essere uno strumento di riconciliazione e di progresso per tutti. La sua storia, incisa nel dolore e nella resilienza, è un invito a non dimenticare e ad agire per un mondo più giusto ed equo.
Natali Shaheen: Sport e Conflitto, un Grido di Ingiustizia.
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