Alessandro Riguccini, un nome che evoca l’immagine di un pendolare esistenziale, un uomo diviso tra le radici toscane di Sansepolcro e l’ardente realtà messicana di Sinaloa.
Più che un pugile, Riguccini incarna un progetto umano complesso, un ibrido inusuale di disciplina fisica e rigore intellettuale.
La sua carriera, segnata da un’inattesa transizione dal kickboxing al pugilato nel 2012, si è sviluppata sotto cieli lontani, tra il ritmo incalzante degli allenamenti e la ricerca di una stabilità professionale che trascenda il ring.

La sua formazione accademica in ingegneria, culminata con brillanti votazioni (110 e lode alla triennale e 110 alla specialistica), riflette una visione lungimirante e una consapevolezza della fragilità di una carriera sportiva.

L’ottenimento del titolo accademico rappresenta non solo un piano B, ma un investimento nella propria autonomia e nella possibilità di reinventarsi al di là del mondo dello sport, aspirando a un ruolo di imprenditore.

Il prossimo impegno a Tirana, nell’ambito della serie di incontri “KO alla droga”, si configura come una tappa cruciale.

Affrontare Jesus Correa, avversario classificato al numero 8 rispetto al suo settimo posto nella classifica Wba dei superleggeri, significa contendersi il titolo “ad interim” – un trampolino di lancio verso la sfida al campione del mondo, Gary Antuanne Russell, che ha recentemente detronizzato il messicano Josè Valenzuela.

Il suo percorso, costellato da trenta vittorie consecutive, ventisei delle quali ottenute prima del limite, lo proietta verso un’opportunità irripetibile.
Tuttavia, Riguccini lamenta una certa ingratitudine da parte del contesto italiano, dove la sua figura non ha ricevuto il riconoscimento che merita.

È in Messico, terra di battaglie contro avversari di calibro come Johan Perez e Juan Ruiz, che la sua abilità è stata pienamente apprezzata.
L’obiettivo attuale non è solo conquistare il titolo “ad interim”, ma anche farsi conoscere e apprezzare in Albania, un nuovo palcoscenico per la sua ascesa verso il vertice del pugilato mondiale.
La sua storia è la narrazione di un atleta in transizione, un uomo che guarda al futuro con ambizione e preparazione, pronto a trasformare la forza fisica in resilienza intellettuale e professionale.
Il ring di Tirana rappresenta non solo una sfida sportiva, ma una dichiarazione di intenti, un impegno a superare i confini geografici e culturali per raggiungere la vetta.