L’urgente necessità di umanitaria assistenza per Gaza, con 240 tonnellate di aiuti vitali bloccati in Giordania da due settimane, ha catalizzato l’attenzione di una coalizione di voci civiche e politiche.
La richiesta di sblocco, rivolta al Ministro degli Esteri Tajani e alla Presidente Meloni, si articola attorno alla potenziale mobilitazione del programma “Food For Gaza”, le cui capacità operative, se pienamente attivate, potrebbero rappresentare una via d’uscita dalla situazione di stallo.
L’iniziativa, promossa dall’associazione Music For Peace e sostenuta da una variegata rappresentanza politica, che include esponenti di sinistra, centrosinistra e una delegazione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), nasce da un diffuso sentimento di solidarietà.
La raccolta di questi aiuti, frutto dell’impegno di migliaia di persone, culminata in una fiaccolata il 30 agosto, testimonia la volontà di una comunità che si fa carico di una responsabilità umanitaria.
La conferenza stampa, nata in seguito al respingimento in Consiglio Regionale di una mozione che chiedeva l’accelerazione della consegna del materiale, evidenzia un contrasto tra l’apparente indifferenza delle istituzioni e l’urgente bisogno della popolazione gazzawi.
L’affermazione, da parte della giunta regionale, di aver “superato il tema”, è stata duramente contestata dall’opposizione, che denuncia la gravità della situazione e l’inaccettabilità di una risposta così superficiale.
La problematica non si limita alla mera logistica; solleva questioni di carattere politico e diplomatico, legate alla complessa selezione dei materiali ammessi a Gaza e alla necessità di un intervento governativo incisivo.
La parlamentare Valentina Ghio ha annunciato l’invio di una missiva alla Presidente Meloni e al Ministro Tajani, con l’obiettivo di chiarire le procedure di controllo e sollecitare azioni concrete per favorire il transito degli aiuti.
Il portuale Riccardo Rudino, presente alla conferenza, ha espresso un parere più radicale, auspicando un boicottaggio dei traffici commerciali con Israele come misura necessaria, vista la presunta inefficacia dei canali diplomatici.
Questa posizione, pur rappresentando un approccio più diretto, riflette la frustrazione e la crescente impazienza di fronte alla persistente crisi umanitaria e alla percezione di un’inerzia politica inaccettabile.
La situazione pone, dunque, una sfida non solo logistica, ma anche etica e politica, richiedendo un impegno profondo e una riflessione critica sulle responsabilità internazionali e sulle possibili vie per alleviare la sofferenza di una popolazione in difficoltà.







