La vicenda di Simone Monteverdi, il giovane genovese accusato dell’omicidio della nonna Andreina Canepa a Chiavari nel settembre 2024, si è conclusa con una sentenza complessa e carica di implicazioni giuridiche e psicologiche.
La corte d’assise di Genova, dopo un’attenta disamina delle prove e delle perizie mediche, ha emesso un verdetto di assoluzione basato su un vizio totale di mente.
Questa decisione, apparentemente in contrasto con la gravità del gesto – l’uccisione della nonna con un atto violento come l’uso di forbici – è il frutto di una profonda valutazione della capacità di intendere e di volere del giovane al momento del tragico evento.
La decisione di rinviare Monteverdi a giudizio, nonostante la precedente diagnosi di infermità mentale, riflette la complessità del sistema giudiziario italiano, che prevede una verifica in contraddittorio anche in casi apparentemente chiari.
L’avvocata Ilaria Tulino, difensore del giovane, ha sostenuto con forza la tesi della totale incapacità di intendere e volere, appoggiandosi alle conclusioni di periti psichiatrici che hanno delineato un quadro clinico complesso e invalidante.
La perizia psichiatrica ha evidenziato una condizione di infermità mentale che ha, nel momento cruciale, determinato una sospensione della capacità di discernimento e di controllo degli impulsi.
Questo non implica una giustificazione dell’azione, ma una sua contestualizzazione all’interno di una sfera di alterazione psichica che esclude la responsabilità penale in senso stretto.
Si tratta di una condizione, come sottolineano gli esperti, che può derivare da disturbi neurologici, psicologici o da una combinazione di fattori predisponenti.
La decisione della corte, pur assolvendo Monteverdi dal punto di vista penale, non conclude la vicenda.
Il giovane non sarà libero di tornare nella società; la giustizia, per garantire la sicurezza pubblica e fornire al giovane un percorso di cura e riabilitazione, ha disposto la sottoposizione a una misura di sicurezza della durata di dieci anni.
Questa misura non è una pena, ma un provvedimento volto a tutelare il soggetto stesso e la collettività, prevedendo un regime di assistenza, trattamento sanitario obbligatorio e limitazioni alla libertà personale, il tutto in un contesto di monitoraggio costante.
L’episodio solleva interrogativi profondi sul rapporto tra diritto, psichiatria e responsabilità, evidenziando la necessità di una maggiore attenzione alle problematiche legate alla salute mentale e alla sua incidenza sul comportamento umano.
La vicenda Monteverdi rappresenta un caso emblematico che richiede una riflessione critica sull’efficacia del sistema di giustizia penale nel confrontarsi con individui affetti da gravi disturbi psichiatrici e sull’importanza di investire in servizi di prevenzione, diagnosi precoce e cura nel campo della salute mentale.







