venerdì, 6 Giugno 2025
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Carcere di Marassi: Un grido di dolore rivela la crisi del sistema penitenziario.

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La recente escalation di violenza nel carcere di Marassi non costituisce un evento isolato, ma si rivela un sintomo acuto di una crisi sistemica che affligge il sistema penitenziario italiano. La rivolta, innescata da un’allegata aggressione sessuale, emerge come una tragica espressione del disagio profondo che permea la vita detentiva e, parallelamente, del crescente peso che grava sulle spalle del personale penitenziario.Il sovraffollamento, con un tasso di occupazione che supera di oltre il trenta percento la capienza regolamentare, è una delle manifestazioni più evidenti di questa emergenza. Ma ridurre il problema alla mera questione della densità abitativa significherebbe tralasciare le complesse dinamiche che esso genera. Il sovraffollamento amplifica la tensione, frustra le aspettative di riabilitazione, rende inefficaci i programmi educativi e favorisce l’insorgere di conflitti. Esso è, in definitiva, un acceleratore di patologie sociali e individuali.A ciò si aggiunge una drammatica carenza di personale, che espone agenti e detenuti a condizioni di lavoro e di vita insostenibili. L’incapacità di monitorare la situazione all’interno delle celle, come tragicamente emerso, non è solo una questione di scarsità di risorse umane, ma riflette un modello di gestione improntato alla riduzione dei costi a discapito della sicurezza e del rispetto dei diritti fondamentali. La mancanza di personale significa, inoltre, una diminuzione della possibilità di offrire supporto psicologico e di mediazione, alimentando un circolo vizioso di disagio e marginalizzazione.La convergenza temporale tra l’episodio di Marassi e la recente approvazione del Decreto Sicurezza, con l’introduzione del reato di rivolta in carcere, offre un’occasione di riflessione critica. L’incremento del rigore punitivo, spesso percepito come una risposta immediata e semplice, si rivela inefficace nel contrasto delle dinamiche criminali e nella prevenzione di disordini. L’esperienza dimostra che l’aumento delle pene, privo di un investimento significativo in percorsi di reinserimento sociale e rieducazione, si traduce in un mero spostamento del problema, senza affrontare le cause profonde del fenomeno.La politica criminale, troppo spesso orientata alla repressione a scapito della riabilitazione, esaurisce il proprio significato in una retorica del “toller zero” che non produce alcun effetto deterrente reale. Al contrario, l’investimento in programmi educativi, in servizi di assistenza psicologica, nella formazione del personale penitenziario e nella promozione di attività volte a favorire la risocializzazione, si rivela un investimento strategico a lungo termine, capace di ridurre la recidiva e di contribuire alla costruzione di una società più giusta e sicura.È imperativo che il Ministro Nordio e il Governo, al di là delle dichiarazioni di intenti, adottino misure concrete e immediate per affrontare questa emergenza strutturale. Occorre superare l’approccio emergenziale e adottare una visione sistemica, che coinvolga tutte le istituzioni e che ponga al centro la dignità umana e il diritto al riscatto sociale. Riformare il sistema penitenziario non è solo un imperativo giuridico, ma un dovere morale nei confronti di chi ha commesso errori e che merita una seconda opportunità. La riqualificazione del carcere non è un costo, ma un investimento nel futuro del Paese.

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