domenica 24 Agosto 2025
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Carlo Pepi è morto: la verità sull’affare Modigliani.

La scomparsa di Carlo Pepi, figura eminente nel panorama della critica d’arte, a soli 88 anni, ci priva di un acuto osservatore e testimone di un’epoca.
La sua eredità intellettuale si lega indissolubilmente a una delle vicende più controverse e complesse del mondo dell’arte italiana: l’affaire Modigliani che ha scosso Genova e oltre.

Pepi, noto per la sua lucidità e il suo coraggio nel denunciare l’inganno, non si limitò a svelare la burla del 1984, ma fu il suo sguardo critico a portare alla luce una rete intricata di falsificazioni che mise in discussione l’autenticità di un’ampia selezione di opere attribuite ad Amedeo Modigliani.
Nel 2017, la mostra “Modigliani: il Genio Ribelle” allestita presso Palazzo Ducale di Genova fu improvvisamente interrotta a seguito delle sue inequivocabili osservazioni.
La decisione di chiudere anticipatamente l’esposizione, un atto raro e significativo, innescò un’inchiesta giudiziaria che coinvolse figure di spicco del mondo dell’arte, segnando l’inizio di un lungo processo.
L’indagine, condotta dalla Procura di Genova, portò al sequestro di ben 21 tele e a un complesso procedimento legale che vide coinvolti sei imputati.
Massimo Zelman, presidente di Mondo Mostre Skira, l’azienda dietro l’organizzazione della mostra, si trovò al centro della tempesta, insieme a Joseph Guttmann, un influente mediatore d’arte ungherese-americano, e a Rudy Chiappini, curatore svizzero.
Nicolò Sponzilli, direttore delle mostre Skira, Rosa Fasan, dipendente Skira, e Pietro Pedrazzini, scultore svizzero proprietario del presunto “Ritratto di Chaim Soutine”, completavano il quadro degli accusati.
L’accusa, basata sulle indagini condotte, sosteneva che l’esposizione fosse stata ideata per “ripulire” opere false, conferendo loro un’aura di autenticità al fine di massimizzare il loro valore economico, sfruttando il centenario della morte di Modigliani per generare profitti ingenti.

Un’operazione finanziaria mascherata da celebrazione artistica.

Tra le opere considerate apocrife e destinate a essere etichettate come “Non riconducibili a Modigliani” figurano capolavori come “Cariatide Rossa/Les Epoux”, “Cariatide”, “Ritratto femminile” e “Ritratto di Moricand”.

Queste opere, presentate al pubblico come autentiche, si rivelarono essere frutto di abili imitazioni, sollevando interrogativi sulla responsabilità dei curatori e degli organizzatori.
Nonostante le accuse gravissime, il giudice di primo grado ha assolto tutti gli imputati, determinando un paradosso che ha lasciato perplesso il mondo dell’arte e l’opinione pubblica.
Questa assoluzione ha alimentato un acceso dibattito sulla difficoltà di provare l’intenzionalità del raggiro in ambito artistico, e sulla delicatezza delle valutazioni d’autenticità.

L’appello, in attesa di essere fissato, rappresenta l’ultima speranza di chiarire definitivamente le dinamiche di questa vicenda, che ha messo in luce le fragilità del sistema dell’arte e la necessità di una maggiore vigilanza e competenza nella valutazione delle opere d’ingegno.

La storia dell’affaire Modigliani rimane un monito, un invito a preservare l’integrità del patrimonio artistico e a non cedere alla tentazione del profitto facile, a costo di compromettere la verità e la memoria di un genio.

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