La vita di Daniela Cella, sorella di Nada, la giovane segretaria strappata alla vita il 6 maggio 1996 a Chiavari, è un paesaggio interiore segnato da una frattura profonda.
Il ritorno a casa, dal San Martino, dopo l’irruzione della morte in famiglia, ha segnato un punto di rottura incolmabile, delineando un “prima” e un “dopo” che divergono in modo inesorabile.
La sua testimonianza in aula, durante il processo a carico di Anna Lucia Cecere e Marco Soracco, si è fatta strada tra singhiozzi e silenzi, testimonianza tangibile del dolore che la divora ancora.
La perdita di peso, drasticamente accelerata – ben 45 chili scomparsi – è solo la manifestazione fisica di un trauma psichico devastante.
L’insonnia, l’incapacità di trovare un riposo ristoratore, l’inevitabile ricorso alla psicoterapia, sono tutti tasselli di un mosaico doloroso che rivela la fragilità di un’esistenza sconvolta.
Il ricordo di Nada, la sua aspirazione al cambiamento professionale, l’offerta di sostegno da parte del marito, l’ipotesi di ospitalità a Milano, sono immagini sbiadite dalla sofferenza, come fotografie ingiallite dal tempo.
Il quadro familiare è ulteriormente appesantito dalla precaria condizione di salute della madre, Silvana Smaniotto, consumata dal dolore e segnata dalla prima assoluzione di Cecere.
Daniela Cella si ritrova a portare sulle proprie spalle il peso schiacciante di una vicenda giudiziaria complessa e dolorosa, un fardello emotivo che sembra insopportabile.
La testimonianza precedente di Daniela è stata preceduta da quella del giornalista Carlo Piano, figura di spicco nel panorama dell’informazione italiana e figlio dell’architetto Renzo Piano.
Piano, a fine maggio 1996, si è confrontato con l’avvocata Pantano, legale di Anna Lucia Cecere, in un’intervista durata cinque giorni.
Le parole dell’avvocata, riportate dal giornalista, suggeriscono una strategia difensiva basata sulla “sfortuna” della cliente, presente nei dintorni del luogo del delitto e identificata da testimonianze ambigue.
La misteriosa figura femminile, mai identificata ufficialmente, era descritta come una persona che si lamentava per la mancanza di progressi nelle indagini.
Anna Lucia Cecere ha costantemente affermato di essere stata impegnata in attività lavorative presso lo studio di un dentista a Santa Margherita Ligure il giorno del decesso di Nada.
L’atteggiamento dei legali di Soracco e Cecere, che hanno rifiutato l’esame, ha provocato ulteriore sconcerto e amarezza in Daniela Cella.
La sua retorica, carica di un’inconfondibile amarezza, suggerisce un’implicita accusa: se non si hanno segreti da celare, non vi è motivo di evitare un confronto diretto con la giustizia.
La vicenda si configura così non solo come una tragedia personale, ma anche come un dramma collettivo, intriso di interrogativi irrisolti e di un profondo senso di ingiustizia.