L’udienza della sindaca di Genova, Silvia Salis, e dell’assessore alla Protezione Civile, Massimo Ferrante, dinanzi alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul rischio idrogeologico e sismico ha rappresentato un momento cruciale per l’approfondimento delle criticità e delle strategie di mitigazione che affliggono il territorio ligure, con particolare riferimento agli eventi calamitosi dal 2019 in poi.
L’occasione ha permesso una disamina puntuale delle responsabilità istituzionali e delle azioni intraprese, evidenziando la necessità di un cambio di paradigma nell’approccio alla gestione del rischio.
La sindaca Salis ha espresso con chiarezza come la politica non possa sottrarsi alla propria responsabilità, sottolineando la necessità di gesti concreti e simbolici.
La decisione di unire le deleghe relative ai Lavori Pubblici e alla Protezione Civile all’interno di un unico assessorato testimonia una visione integrata: la difesa del territorio non può essere frammentata in compartimenti stagni, bensì deve costituire un sistema coerente in cui la pianificazione infrastrutturale e la risposta all’emergenza siano costantemente interconnesse.
Un elemento cruciale emerso durante l’audizione è la vulnerabilità genovese nei confronti del mare, un aspetto spesso relegato in secondo piano rispetto ad altre problematiche.
La città, situata in una conformazione geografica complessa, necessita di una protezione più robusta contro l’erosione costiera, gli eventi climatici estremi, fenomeni in innegabile aumento di frequenza e intensità.
Salis ha sottolineato l’urgenza di interventi organici, di ampio respiro, che abbraccino l’intera linea costiera, abbandonando soluzioni parziali e temporanee, spesso insufficienti a garantire una sicurezza reale.
La discussione si è soffermata sull’obsolescenza del “Piano Italia Sicura”, datato oltre un decennio fa e che, pur avendo previsto ingenti investimenti (9 miliardi di euro a livello nazionale e circa 400 milioni per Genova), non è stato in grado di prevenire tutti gli eventi negativi.
La necessità di un nuovo piano nazionale, aggiornato alle mutate condizioni climatiche e tecnologiche, è emersa come un imperativo categorico.
Le opere infrastrutturali in corso di realizzazione, come lo scolmatore del Bisagno – finanziato con 200 milioni di euro – e la “talpa” TMB, che ha subito ritardi significativi nonostante l’attivazione, sono state oggetto di un’analisi approfondita.
Parallelamente, lo scolmatore del Fereggiano, già operativo grazie a un finanziamento di 45 milioni, ha dimostrato la validità di un approccio mirato alla deviazione delle acque di ruscellamento, riducendo il rischio idraulico in aree specifiche.
L’udienza ha rappresentato quindi un’opportunità per focalizzare l’attenzione sulla necessità di una visione strategica e di investimenti mirati, riconoscendo la complessità del rischio idrogeologico e sismico e l’urgente necessità di un cambio di passo per garantire la sicurezza e la resilienza del territorio genovese e, più in generale, del Paese.






