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Genova, chiesto 5 anni per presunto terrorista pakistano

La Procura della Repubblica di Genova ha richiesto una condanna a cinque anni di reclusione per Raan Nadeem, alias “Peer”, figura cardine di una cellula jihadista pakistana decisa dalla Digos nel 2022.
La difesa, rappresentata dall’avvocato Marco De Benedictis, ha optato per il rito abbreviato nella speranza di ottenere una riduzione della pena, con la sentenza prevista per il 19 gennaio.
L’accusa, guidata dalla Procuratore Aggiunto della DDA Monica Abbatecola, contesta a Nadeem l’associazione a delinquere finalizzata al terrorismo.

L’imputato, pur rilasciando spontanee dichiarazioni di resa dei conti, ha fermamente negato le accuse, contestando l’esistenza stessa della cellula e la sua presunta affiliazione.
Secondo l’inchiesta, Nadeem avrebbe ricoperto un ruolo di leadership all’interno dell’organizzazione, mantenendo attivi contatti con i membri anche durante la sua detenzione in Francia.
Il gruppo, denominato “Gabar”, risultava collegato a Zaheer Hassan Mahmoud, l’individuo responsabile dell’attacco alla ex sede di Charlie Hebdo a Parigi nel settembre 2020, durante il quale due persone rimasero ferite.

Precedentemente, sette membri del gruppo erano stati condannati a quattro anni e sei mesi di reclusione, mentre un ottavo aveva ricevuto una pena di due anni.
Yaseen Tahir e Alì Moshin, considerati i principali responsabili, erano stati condannati a sette anni con rito ordinario.

Nadeem, pur essendo già detenuto, continuava a comunicare con Tahir, manifestando un’intenzione di agire a Parigi una volta libero.

Una missiva particolarmente significativa, intercettata durante la detenzione, rivelava l’intenzione di Nadeem: “Appena esco – scriveva a Tahir – mi farò sentire a Parigi.
Sono un uomo coraggioso nei momenti difficili e ora che sono usciti i miei fratelli e a breve uscirò io… vedrai cosa facciamo là fuori”.

Questa comunicazione, unitamente ad altre prove raccolte, ha contribuito a delineare il quadro di un’organizzazione terroristica operativa e determinata.

Due mesi prima dell’attentato avvenuto sotto l’ex sede di Charlie Hebdo, un gruppo di arrestati aveva immortalizzato un selfie sotto la Torre Eiffel, includendo Zaheer Hassan Mahmoud, l’attentatore.

La foto, accompagnata dalla didascalia “abbiate un po’ di pazienza.
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ci vediamo sui campi di battaglia”, costituiva una chiara manifestazione di intenti e una provocazione nei confronti delle autorità.

Il gesto, a testimonianza di un’organizzazione coesa e desiderosa di compiere atti terroristici, ha fornito un tassello fondamentale per le indagini e ha permesso di ricostruire la rete di contatti e le dinamiche interne al gruppo Gabar.
L’inchiesta ha portato alla luce non solo la capacità di coordinamento a distanza, ma anche l’estremismo ideologico che animava i membri della cellula, alimentando un progetto di radicalizzazione e violenza.

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