Il confronto dialettico attorno alla vertenza ex Ilva a Genova si è tragicamente trasformato in un’escalation di violenza, portando alla luce dinamiche sindacali complesse e un clima sociale profondamente teso.
L’assemblea convocata all’ingresso del sito industriale, inizialmente intesa come piattaforma di discussione, si è dissolta in un’aggressione fisica contro esponenti della Uilm, come testimoniato dal segretario di Genova, Luigi Pinasco, in un’intervista a “Quarta Repubblica”.
L’episodio, descritto con vivido dettaglio, ha visto i manifestanti, identificabili per i capi della Fiom, passare da insulti verbali a reiterate aggressioni fisiche, culminate in inseguimenti e percosse.
La gravità dei traumi riportati, con prognosi di dieci giorni per Pinasco e sette per il segretario organizzativo Claudio Cabras, sottolinea l’intensità della violenza subita, richiedendo interventi sanitari d’urgenza.
L’aggressione, lungi dall’essere un semplice scontro tra fazioni, solleva interrogativi inquietanti sulla deriva del conflitto sindacale e sulle responsabilità di chi lo alimenta.
Il segretario nazionale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, ha espresso una condanna severa, evidenziando il rischio che tali azioni rasentino forme di intimidazione e coercizione, configurandosi potenzialmente come atti di natura terroristica.
Pinasco, riprendendo il pensiero di Bombardieri, ha sottolineato l’importanza di riconoscere tempestivamente i segnali premonitori di escalation della violenza.
Il riferimento alla storia di Genova, città segnata da un passato traumatico legato alla presenza di cellule terroristiche negli anni Settanta, è significativo.
In quel periodo, l’unità d’intenti dei sindacati si rivelò cruciale per contrastare la violenza e difendere i diritti dei lavoratori.
L’episodio attuale, paradossalmente, sembra riaprire ferite del passato, alimentando un clima di sospetto e paura.
È fondamentale distinguere, come precisa Pinasco, tra la legittima lotta dei lavoratori per la difesa del posto di lavoro e la manipolazione di tali preoccupazioni da parte di chi, con messaggi fuorvianti, incita all’odio e alla violenza.
L’atto di aggressione non è una forma di protesta legittima, ma un attacco diretto alla libertà di espressione e alla sicurezza delle persone.
L’auspicio è che questa vicenda tragica possa innescare una riflessione più ampia sulla necessità di promuovere un dialogo costruttivo e di riaffermare i principi fondamentali della democrazia e del rispetto reciproco, elementi imprescindibili per la risoluzione di qualsiasi conflitto.
La memoria del passato genovese, costellato di lotte per la legalità e la dignità, deve servire da monito e da guida per il futuro.






