La vicenda che ha scosso Genova, coinvolgendo due promettenti atleti pallanuotistici universitari, si è conclusa con la sentenza di primo grado: sei anni e sei mesi per uno, sei anni e tre mesi per l’altro. La condanna, emessa dal tribunale, fa seguito a un’inchiesta complessa e dolorosa, che ha portato alla luce dinamiche di abuso e sfruttamento all’interno di un contesto sociale apparentemente sano e competitivo. La richiesta di condanna, avanzata dal pubblico ministero Gabriella Dotto, era stata più severa, a testimonianza della gravità dei fatti contestati. Parallelamente alla sentenza pecuniaria provvisionale di 50 mila euro per la vittima principale, si è disposta anche una provvisionale di 10 mila euro per un’altra ragazza coinvolta, testimone chiave nel ricostruire la sequenza degli eventi.L’indagine, condotta con scrupolo dalla squadra mobile, ha fatto luce su una spirale di comportamenti prevaricatori e di manipolazione. Secondo la ricostruzione del pubblico ministero, i due atleti, difesi dagli avvocati Andrea Vernazza e Fabio La Mattina, avrebbero deliberatamente ostacolato la lucidità della giovane vittima, inducendola a consumare alcol, per poi condurla presso l’abitazione di uno di loro. È in questo contesto che, stando alle accuse, si sarebbero verificati gli abusi, episodi crudelmente documentati attraverso immagini riprese con i telefoni cellulari, trasformando la vittima in oggetto di una degradante esibizione. L’accusa ha contestato non solo i reati di violenza sessuale e lesioni fisiche, ma anche quello di revenge porn, derivante dalla condivisione, attraverso chat private con amici, di filmati di rapporti sessuali con altre donne, presumibilmente consenzienti, ma che rivelano un’inquietante mercificazione del corpo femminile e una pericolosa banalizzazione della sfera intima.La testimonianza di una delle ragazze coinvolte, assistita dall’avvocato Pietro Bogliolo, si è rivelata fondamentale per la ricostruzione della dinamica e ha contribuito a rafforzare l’accusa di abuso. I due pallanuotisti hanno sempre sostenuto la consensualità dei rapporti con la giovane, versione che si è scontrata con le evidenze raccolte durante le indagini. Il caso solleva interrogativi profondi sulle responsabilità individuali, sulla cultura dello sport e sul ruolo dei modelli di riferimento, soprattutto quando si tratta di giovani atleti che aspirano a carriere di successo. La vicenda, al di là della sentenza, lascia una ferita profonda nella comunità e riapre un dibattito urgente sulla prevenzione, la sensibilizzazione e la tutela delle donne, in particolare in ambienti competitivi dove le dinamiche di potere possono facilmente sfociare in comportamenti abusivi e prevaricatori. La necessità di un cambio culturale, che promuova il rispetto, la responsabilità e la consapevolezza, si rende più urgente che mai.
Genova, sentenza shock: 6 anni per due pallanuotisti
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