L’episodio, che ha scosso la comunità di Marassi, a Genova, solleva interrogativi complessi sulla responsabilità individuale nell’era digitale e sulle dinamiche psicologiche che possono condurre a comportamenti riprovevoli.
Un pensionato di sessantaquattro anni, incensurato fino ad allora, si è trovato al centro di un’indagine della Polizia Postale, accusato di detenzione e condivisione di materiale pedopornografico.
Durante l’udienza, l’uomo ha espresso il desiderio di ricevere cure, manifestando una consapevolezza del disagio che lo ha portato a compiere tali azioni.
La vicenda si è sviluppata a seguito di un’attività di indagine mirata a contrastare la diffusione online di materiale illegale.
Gli agenti, guidati dal primo dirigente Alessandro Carmeli, hanno fatto irruzione nell’abitazione del pensionato proprio nel momento in cui questi stava scaricando e condividendo i contenuti incriminatori.
La scoperta ha immediatamente generato una reazione di shock e preoccupazione.
Il legale del pensionato, l’avvocato Michele Ispodamia, ha presentato una linea difensiva incentrata sull’assenza di consapevolezza da parte del suo assistito riguardo alla natura condivisa del sistema utilizzato per scaricare i file.
La tesi è che il pensionato, pur accumulando una vasta collezione di video e immagini, non era a conoscenza del fatto che l’atto di download avvenisse contestualmente alla condivisione online.
Questa argomentazione ha portato il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) a disporre la scarcerazione, limitando l’imputazione alla sola detenzione del materiale.
La decisione del GIP è stata motivata anche dalla considerazione del profilo personale dell’imputato, un uomo incensurato e, a giudizio del magistrato, privo di riproponibilità del reato, soprattutto alla luce del sequestro di tutti i suoi dispositivi elettronici.
Tuttavia, la richiesta di custodia cautelare in carcere e il trasferimento in un istituto diverso da Marassi, avanzata dal pubblico ministero Patrizia Petruzziello, testimonia la gravità percepita della situazione.
La richiesta era motivata dalla necessità di prevenire disordini, in seguito alle proteste sollevate dai sindacati della polizia penitenziaria, che temevano un’escalation di violenza simile a quella verificatasi il 4 giugno, quando i detenuti di Marassi avevano messo a ferro e fuoco il carcere.
L’episodio, inquadrabile nel più ampio contesto della criminalità online, pone l’accento sulla vulnerabilità delle persone, anche quelle anziane, di fronte all’accesso indiscriminato a contenuti digitali.
Il caso solleva interrogativi sulla necessità di una maggiore educazione digitale e sulla responsabilità collettiva nel contrastare la diffusione di materiale pedopornografico, un fenomeno che attanaglia la società e che richiede un impegno costante da parte delle istituzioni, delle forze dell’ordine e della comunità nel suo complesso.
L’appello espresso dall’imputato di ricevere cure sottolinea, inoltre, la necessità di un approccio multidisciplinare che affronti le cause profonde di tali comportamenti, coniugando l’azione penale con interventi di sostegno psicologico e riabilitazione.








