La vicenda maturata all’interno della casa circondariale di Marassi rappresenta un abisso di brutalità e una profonda falla nel tessuto del sistema penitenziario, sollevando interrogativi urgenti sulla gestione della sicurezza detentiva e la tutela della dignità umana.
L’aggressione subita da un detenuto diciottenne, culminata in un arresto con l’accusa di tortura e violenza sessuale di gruppo, trascende la mera dinamica di violenza tra detenuti per configurarsi come un atto di efferata crudeltà e una manifestazione di profonda disumanizzazione.
L’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal giudice per le indagini preliminari Camilla Repetto e coordinata dal pm Luca Scorza Azzarà, ha portato alla cattura di quattro individui: tre egiziani di età compresa tra i 21 e i 26 anni e un italiano quarantunenne.
La ricostruzione degli eventi, dolorosamente narrata dalla vittima – assistita dall’avvocata Celeste Pallini – e confermata da un altro detenuto testimone, rivela un crescendo di violenza che si è protratto per diversi giorni, dall’1 al 2 giugno, con un successivo e drammatico peggioramento delle condizioni fisiche e psicologiche del giovane.
Secondo le indagini, la miccia di questa spirale di abusi sarebbe stata innescata dal rifiuto della vittima di divulgare le ragioni del suo arresto, alimentando un vortice di false accuse e sospetti.
Queste voci, completamente infondate, lo avrebbero dipinto come coinvolto in un giro di sfruttamento minorile, con l’accusa di favorire cessioni di stupefacenti in cambio di prestazioni sessuali, e di furto di un cellulare a una cugina minorenne.
La brutalità dell’aggressione ha raggiunto livelli sconcertanti: la vittima è stata sottoposta a torture che includevano ustioni causate da cicche di sigarette, legature che soffocavano la sua capacità respiratoria e, in una ulteriore disumanizzazione, la realizzazione di tatuaggi osceni sul viso tramite un dispositivo artigianale.
Per celare le loro azioni alle autorità, i perpetratori lo hanno costretto a simulare un sonno, privandolo anche del sostentamento.
La notizia delle violenze ha scatenato una rivolta all’interno dell’istituto, con una significativa distruzione di celle e aule studio, coinvolgendo circa ottanta persone ora sotto inchiesta per devastazione e tumulto.
Questo episodio di violenza detentiva non è solo un grave episodio di microcriminalità all’interno del carcere, ma un sintomo di una più ampia crisi del sistema, che solleva interrogativi sulla sicurezza, il monitoraggio e il trattamento dei detenuti, nonché sulla necessità di una profonda revisione delle politiche penitenziarie.
L’evento richiede un’indagine approfondita sulle condizioni che hanno permesso a tali abusi di verificarsi, evidenziando la necessità di rafforzare i controlli, aumentare il personale di sorveglianza e promuovere programmi di riabilitazione efficaci per prevenire future tragedie.
La tutela della dignità umana, anche all’interno delle carceri, deve essere una priorità assoluta.