Il processo per il crollo del Ponte Morandi, tragedia che il 14 agosto 2018 strappò alla vita 43 persone, ha subito una svolta significativa durante la requisitoria del pubblico ministero Walter Cotugno. L’accusa ha formalmente archiviato l’ipotesi di reato di attentato alla sicurezza pubblica dei trasporti, una contestazione gravissima che implicava un dolo – un intento preciso – alla base della catastrofe. L’assenza di elementi probatori inequivocabili a sostegno di tale dolo, come sottolineato dal pm, preclude la possibilità di una richiesta di condanna basata su questa specifica accusa.Questo ritiro, pur rappresentando un punto cruciale nel delineamento della responsabilità penale, non diminuisce in alcun modo la complessità e la pesantezza delle accuse che pendono sugli imputati. I 57 individui coinvolti, figure apicali e manager di Autostrade per l’Italia (Aspi) e di società collegate, continuano a fronteggiare una serie di imputazioni che abbracciano la sfera tecnica, amministrativa e penale.Tra i protagonisti del processo, spiccano le figure di Giovanni Castellucci, ex amministratore delegato di Aspi, attualmente detenuto per un altro caso di strage (l’incidente del bus di Avellino nel 2013), e Paolo Berti, ex direttore centrale operazioni, anch’egli detenuto per lo stesso motivo. Accanto a loro, è sotto accusa Michele Donferri Mitelli, ex responsabile nazionale manutenzioni di Autostrade, un ruolo chiave nella gestione e nel controllo della sicurezza infrastrutturale.Le accuse che restano in piedi sono di eccezionale gravità. Si tratta di crollo colposo e disastro colposo, reati che descrivono la negligenza e l’inadeguatezza delle misure di sicurezza adottate. A questi si aggiungono accuse di omicidio plurimo aggravato, derivante dalla qualificazione dell’evento come omicidio stradale, sottolineando l’impatto devastante sulla vita delle vittime e dei loro familiari. L’accusa di falsità ideologiche commesse in atti, poi, mira a svelare come documentazione e certificazioni fossero manipolate per nascondere la reale condizione del ponte, offrendo un quadro distorto alle autorità di controllo e alla pubblica amministrazione. Il processo si configura quindi come un’indagine complessa e articolata, volta a ricostruire non solo le cause dirette del crollo, ma anche le responsabilità di chi, a vari livelli, ha contribuito a creare una situazione di pericolo irreversibile. La mancata richiesta di condanna per attentato alla sicurezza pubblica non implica una diminuzione della gravità del quadro accusatorio, bensì una focalizzazione sulle responsabilità derivanti da negligenza, imprudenza e violazione delle norme di sicurezza, con l’obiettivo di accertare la verità e garantire giustizia per le vittime e i loro cari. Il processo rappresenta un capitolo cruciale per la ricostruzione della memoria collettiva e per l’affermazione di una cultura della sicurezza e della responsabilità nel settore delle infrastrutture.
Morandi: Archiviata l’ipotesi di attentato, accuse pesanti restano
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