Il 14 agosto 2018, la comunità di Avellino fu straziata da una tragedia che avrebbe dovuto scuotere le fondamenta di un sistema. Il crollo del ponte Morandi, con le sue 43 vittime, non solo rappresentò una perdita umana incommensurabile, ma anche una dolorosa rivelazione delle fragilità intrinseche a un approccio alla sicurezza strutturale compromesso da logiche economiche e da una cultura dell’inerzia. Come un eco di tragedie passate – il Titanic, ad esempio, simbolo di una presunzione tecnologica che si è rivelata fatale – il Morandi ha evidenziato una persistente tendenza a privilegiare le conseguenze post-evento rispetto a misure proattive di prevenzione.Nel corso del processo a carico dei 57 imputati, il pm Walter Cotugno, affiancato dal collega Marco Airoldi, ha dipinto un quadro preoccupante: un sistema di controlli superficiali, deliberatamente distorto, volto a celare un quadro di degrado infrastrutturale. Le procedure di autotutela, le innovazioni relative alla sicurezza, si sono rivelate palliativi, applicate *dopo* che il danno era compiuto.L’accusa ha sollevato un velo sulle pratiche ingannevoli adottate, descrivendo ispezioni condotte con strumenti inadeguati – l’utilizzo di binocoli per valutare a distanza la stabilità di un’opera titanica – e controlli frettolosi, quasi burleschi, come quello eseguito nella galleria Bertè sull’A26, dove un’ispezione fondamentale, un mese e mezzo prima di un crollo parziale di due tonnellate di cemento, veniva effettuata “velocemente in macchina e cantando”. La leggerezza di tali azioni testimonia una profonda mancanza di serietà e una totale indifferenza verso il rischio reale.Al cuore dell’accusa risiede l’ipotesi di una sistematica falsificazione dei report di controllo, un’operazione volta a ridurre i costi di manutenzione e, di conseguenza, ad accrescere i dividendi destinati agli azionisti. Questa pratica, secondo la Procura, rappresentava una scelta deliberata, un compromesso tra la sicurezza delle persone e il profitto aziendale. Nessuno, all’interno di Spea, società precedentemente controllata da Aspi, ha mai sollevato obiezioni, lamentando la scarsità di risorse o la mancanza di personale qualificato per garantire una sorveglianza adeguata. Il silenzio, in questo caso, è quanto di più assordante.L’inchiesta sul Morandi non è semplicemente un processo penale; è un’occasione per interrogare le responsabilità, per ricostruire un sistema di controlli trasparente e rigoroso, e per garantire che una tragedia di queste proporzioni non si ripeta mai più. È un monito a porre la sicurezza delle persone al di sopra di qualsiasi logica economica, a valorizzare la prevenzione come investimento primario e a riconoscere il diritto inalienabile di ogni cittadino a vivere in un ambiente sicuro e protetto.
Morandi: il processo rivela un sistema di controlli falsati
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