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Nuova svolta inchiesta Genova: indagati per scommesse clandestine e usura

L’inchiesta della Procura di Genova si arricchisce di un nuovo capitolo con la conclusione delle indagini preliminari a carico di sette persone, figure complementari a quelle già condannate, in un complesso sistema di illegalità che intreccia scommesse clandestine e usura.
La vicenda, emersa a seguito dell’arresto e della successiva condanna dei presunti leader – Roberto Sechi, Giovanni Bizzarro e Fabio Praticò – si configura come un’organizzazione radicata nel tessuto economico-criminale del territorio ligure, capace di estorcere centinaia di migliaia di euro a persone vulnerabili.

Le condanne definitive inflitte a Sechi, Bizzarro e Praticò (rispettivamente 6 anni e 4 mesi, 8 anni e 3 anni) avevano già delineato la struttura di base del sistema, ma l’attuale provvedimento mira a ricostruire la rete di collaboratori, intermediari e gestori che sostenevano l’attività illecita.
Il Procuratore aggiunto Federico Manotti, con la notifica degli avvisi di conclusione delle indagini, apre ora la strada a possibili interrogatori, offrendo agli indagati la possibilità di esercitare il diritto alla difesa e di ricostruire la propria versione dei fatti.

L’elemento distintivo di questa organizzazione criminale risiede nella sua capacità di sfruttare la dipendenza dal gioco d’azzardo, una vulnerabilità latente in una parte della popolazione.
I soggetti più esposti, spesso affetti da ludopatia e gravati da debiti accumulati, si ritrovavano intrappolati in un circolo vizioso, costretti a ricorrere a prestiti ad usura per coprire le perdite.

I tassi di interesse applicati, oscillanti tra il 10% e il 20% mensili, raggiungevano in alcuni casi il 20% settimanale, configurando un’usura particolarmente aggravante e predatrice.
L’organizzazione non si limitava a fornire prestiti a tassi esorbitanti; gestiva anche piattaforme di scommesse clandestine, offrendo quote e opportunità di gioco non regolamentate, alimentando ulteriormente la spirale della dipendenza.
La gestione di queste piattaforme avveniva attraverso canali digitali, chat e sistemi di comunicazione criptati, rendendo più complessa l’attività di indagine e di monitoraggio.
Il passato criminale di Roberto Sechi, già condannato nel 2006 per associazione mafiosa legata alla famiglia Fiandaca, nissena di origini, rivela una continuità operativa nel tempo e una consolidata esperienza nel mondo della criminalità organizzata.
La recidiva e la capacità di ricostruire una rete di relazioni criminali a distanza di anni testimoniano la pericolosità del soggetto e la necessità di un approccio investigativo approfondito.
La complessità dell’indagine ha richiesto un’analisi meticolosa delle comunicazioni, dei flussi finanziari e delle relazioni interpersonali, per ricostruire la struttura gerarchica dell’organizzazione e identificare tutti i suoi membri.

La difesa degli indagati, affidata a un team di avvocati di comprovata esperienza (Matteo Carpi, Pietro Bogliolo, Vittoria Garbarini, Gennaro Velle e altri), è orientata a contestare l’accusa di associazione a delinquere e a minimizzare il ruolo dei propri assistiti all’interno del sistema criminale.

La vicenda solleva interrogativi importanti sulla prevenzione della ludopatia, sulla regolamentazione del gioco d’azzardo e sulla necessità di contrastare efficacemente l’usura e le attività illegali che si alimentano della vulnerabilità altrui.

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