L’arringa difensiva, pronunciata dall’avvocato Giovanni Accinni a sostegno dell’ingegnere Castellucci, ha sollevato un interrogativo cruciale: la pubblica accusa ha forse distratto l’attenzione dalla complessità del caso, offrendo un’immagine semplicistica e appiattita della responsabilità? L’immagine evocata, quella di un San Sebastiano colpito da frecce che non ci sono, suggerisce una costruzione ad arte di una colpevolezza, una narrazione che rischia di oscurare le profonde implicazioni strutturali e gestionali che hanno condotto al tragico crollo del ponte Morandi.
La difesa non contesta la gravità del disastro, né la necessità di accertare le responsabilità.
Tuttavia, evidenzia una dissonanza tra la percezione pubblica, alimentata dalla narrativa della pubblica accusa, e la realtà dei fatti.
L’ingegnere Castellucci, per la difesa, si trova ingiustamente imprigionato, vittima di una presunzione di colpa che ignora il contesto di una vicenda incredibilmente articolata.
La sua “colpa”, secondo la prospettiva difensiva, risiede paradossalmente nella sua innocenza, un’innocenza che il sistema giudiziario sembra intenzionato a negare, prefigurando una richiesta di pena che l’avvocato Accinni definisce “sproporzionata”, un atto che neppure un secondo di reclusione potrebbe lenire, in quanto equivarrebbe a una definitiva e irrimediabile sanzione al suo diritto fondamentale all’innocenza presuntiva.
La difesa non si limita a negare la responsabilità personale dell’ingegnere, ma pone una questione di portata ben più ampia: è plausibile sostenere che un singolo individuo possa essere il fulcro di un sistema complesso e stratificato come quello che ha gestito il ponte Morandi per cinquant’anni? Un sistema che ha visto alternarsi decine, se non centinaia, di professionisti, ciascuno con la propria competenza e responsabilità, spesso operanti in ambiti specialistici e con una conoscenza limitata del quadro generale.
Si tratta di un ecosistema di relazioni e conoscenze, in cui la comunicazione, la trasparenza e la condivisione delle informazioni avrebbero dovuto essere la norma, ma dove potrebbero essersi verificate omissioni, errori di valutazione o, addirittura, collusione?L’avvocato Accinni interroga quindi la credibilità di una narrazione che implicherebbe una rete di connivenze così vasta da coinvolgere i massimi esperti della sicurezza del ponte, un’ipotesi che contrasta con i principi fondamentali della logica e dell’esperienza.
La difesa non suggerisce un’assenza di responsabilità, ma invita ad un’indagine più approfondita, che tenga conto di tutti gli elementi in gioco, evitando di ridurre la questione a una semplice imputazione individuale.
È necessario, secondo l’avvocato, recuperare la complessità del caso, per evitare di infliggere una condanna ingiusta a un uomo che, pur avendo ricoperto un ruolo di responsabilità, si è trovato a operare in un contesto di innegabile e profonda ambiguità.
La ricerca della verità, in questo caso, richiede un’indagine onesta e rigorosa, al di là delle semplificazioni e delle suggestioni emotive.