giovedì, 10 Luglio 2025
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Ponte Morandi: un disastro annunciato, la mancata vigilanza

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Il crollo del ponte Morandi, una ferita aperta sul territorio ligure e nella coscienza collettiva, solleva interrogativi complessi che trascendono la mera responsabilità penale. L’immagine evocata dal pubblico ministero Marco Airoldi, quella del medico incaricato di diagnosticare una patologia, coglie l’essenza di un ruolo cruciale non assolto. Non si trattava di un’analisi superficiale, di una rassegnazione fatalistica alimentata dalla convinzione semplicistica che “i ponti non crollano”, ma di un’indagine approfondita, un percorso diagnostico volto a comprendere le dinamiche interne di un’opera ingegneristica di straordinaria complessità.Le prime avvisaglie, risalenti già al 1975, non furono presagi fugaci, ma segnali insistenti, un campanello d’allarme che risuonava con crescente intensità. L’ingegnere Zanetti, con la sua lucida analisi, aveva individuato anomalie che indicavano una profonda sofferenza strutturale, un deterioramento che minacciava l’integrità dell’intera opera. A Zanetti si unì, successivamente, lo stesso progettista, Riccardo Morandi, che nel 1981, con sguardo critico e professionale, rilevò la presenza di segni di degrado diffusi, un quadro allarmante che metteva a rischio la stabilità del ponte.Morandi non si limitò a denunciare l’ammaloramento; propose, con rigore ingegneristico, una serie di interventi correttivi, un piano d’azione preciso e dettagliato. L’imperativo era chiaro: ispezionare i cavi, sottoporli a controlli diagnostici avanzati, come le radiografie, per individuare eventuali vulnerabilità nascoste. Questa raccomandazione, semplice nella sua formulazione, si rivelò tragicamente inesaudita.La mancata attuazione di tali misure non può essere giustificata con la buona fede o l’imprevedibilità del disastro. La negligenza, l’abbandono del dovere di vigilanza, furono alimentati da un pericoloso bias cognitivo, una forma di cecità indotta dalla convinzione errata, quasi un dogma, che le infrastrutture, in particolare quelle di tale portata, fossero intrinsecamente sicure e resistenti. Questo pregiudizio, questa illusione di invincibilità, ha corroso il senso della responsabilità, inibendo la capacità di percepire i rischi reali e di agire di conseguenza.Le difese, nel tentativo di attenuare le responsabilità, invocano l’imprevedibilità dell’evento. Tuttavia, la moltitudine di segnali di pericolo, le avvisaglie che si sono susseguite negli anni, testimoniano una realtà diversa: quella di un disastro annunciato, un crollo che poteva essere evitato con una gestione oculata e una manutenzione proattiva. La tragedia del ponte Morandi non è solo una questione di progettazione e costruzione, ma soprattutto di sorveglianza, di controllo, di consapevolezza dei rischi e di una cultura della responsabilità che, purtroppo, è mancata. L’eredità di questa vicenda impone una profonda riflessione sull’importanza di superare i pregiudizi, di abbracciare la complessità, di ascoltare i segnali di allarme e di investire costantemente nella sicurezza delle infrastrutture che sostengono la nostra società.

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