La ricerca della responsabilità in un evento tragico come il crollo del Ponte Morandi, che ha segnato il 14 agosto 2018 con la perdita di 43 vite, si articola in un intricato dibattito giuridico e tecnico.
Al centro di questo processo, l’ex provveditore alle opere pubbliche Roberto Ferrazza, si difende attraverso il suo legale, l’avvocato Fabio Viglione, sostenendo l’impossibilità di applicare standard uniformi a figure con ruoli e competenze divergenti.
La difesa sottolinea che l’omogeneizzazione di funzioni e doveri sarebbe un’aberrazione, un’imposizione che non tiene conto della complessità delle responsabilità individuali all’interno di un sistema articolato.
L’accusa punta sul ruolo del Comitato territoriale amministrativo (Cta), presieduto da Ferrazza, che avrebbe espresso un parere favorevole al progetto di consolidamento (il cosiddetto “retrofitting” della pila 9) senza un’accurata verifica dello stato dell’infrastruttura e senza la trasmissione del progetto al Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Tuttavia, l’avvocato Viglione contesta questo addebito, affermando che la documentazione a disposizione del Cta è stata gestita secondo le procedure previste.
Il processo si è concentrato sull’analisi del progetto di consolidamento, sminuendone la complessità, soprattutto in relazione all’importanza dell’opera stessa.
La difesa insiste sul fatto che l’intervento di retrofitting non si discosta sostanzialmente dal precedente consolidamento della pila 11, realizzato con successo negli anni ’90.
Si evidenzia inoltre che il progetto era stato concepito per essere semplificato e che, secondo la perizia tecnica, non avrebbe alterato il sistema strutturale originario del viadotto.
È cruciale, a questo punto, comprendere il ruolo specifico del Cta: un organo consultivo incaricato di esprimere pareri, non di effettuare valutazioni tecniche approfondite.
Questa distinzione è fondamentale per delineare i limiti della responsabilità del Comitato e del suo presidente.
L’atto di esprimere un parere non implica necessariamente la garanzia di una sicurezza assoluta o la responsabilità per eventuali conseguenze negative derivanti dall’applicazione di tale parere.
Il caso Morandi, dunque, solleva interrogativi profondi sulla distribuzione delle responsabilità in un contesto di grandi opere pubbliche, mettendo in luce la necessità di una chiara definizione dei ruoli, delle competenze e delle procedure di controllo, al fine di evitare che simili tragedie si ripetano.
La ricerca della verità, in questo processo, è un percorso complesso che richiede un’analisi rigorosa di tutti gli elementi in gioco, senza pregiudizi e con la consapevolezza che la responsabilità è un concetto sfaccettato e difficile da circoscrivere.






