La recente rivolta scoppiata nel carcere di Marassi, a Genova, ha innescato un’indagine approfondita che ha portato al trasferimento di diciassette detenuti in strutture extra-distrettuali.
La decisione, comunicata dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio in risposta a un’interrogazione parlamentare presentata dal deputato Roberto Bagnasco, è un primo passo verso l’applicazione di un regime di sorveglianza particolare nei confronti dei soggetti coinvolti, segnando l’inizio di un’istruttoria complessa e delicata.
L’episodio, verificatosi il 4 giugno, emerge come sintomo di un sistema penitenziario gravato da criticità strutturali e sovraffollamento.
Il dato, quantificato in un indice di affollamento del 128,28%, rivela una situazione di straordinaria pressione sulle risorse e sulle capacità di gestione dell’istituto.
La presenza di 664 detenuti in una struttura progettata per ospitarne 530 evidenzia una carenza di spazi che mina il diritto dei detenuti a condizioni di vivibilità dignitose, sebbene, formalmente, lo spazio individuale per detenuto (superiore ai 3 metri quadrati) rispetti il minimo previsto dalla Corte Europea dei Diritti Umani.
Tuttavia, il mero rispetto dei parametri minimi quantitativi non può esaurire la valutazione delle condizioni carcerarie.
L’affollamento, di per sé, genera tensione, frustrazione e un senso di oppressione che possono favorire l’insorgere di disordini e conflitti.
La qualità della vita in carcere, infatti, non si misura solo in termini di metri quadri, ma anche in relazione all’accesso a programmi di riabilitazione, all’assistenza sanitaria, alla possibilità di mantenere relazioni esterne e alla sicurezza complessiva dell’ambiente.
La risposta del Ministro Nordio sottolinea l’impegno del governo nell’affrontare queste problematiche, con l’avvio di lavori straordinari di manutenzione per un importo di oltre un milione di euro.
Tuttavia, queste iniziative, pur necessarie, appaiono come interventi tampone che non risolvono il problema di fondo, ovvero la carenza di posti letto e la necessità di un profondo ripensamento del sistema penitenziario italiano.
La vicenda di Marassi sollecita una riflessione più ampia sulla sovrappopolazione carceraria, sulle sue cause (tra cui rientrano le politiche repressive, l’eccessivo ricorso alla custodia cautelare e la lentezza dei processi) e sulle possibili soluzioni.
Queste ultime potrebbero includere misure alternative alla detenzione, come la diffusione di braccialetti elettronici, l’incentivazione del lavoro esterno e la promozione di programmi di reinserimento sociale.
Inoltre, è fondamentale investire nella formazione del personale penitenziario, fornendo loro gli strumenti necessari per gestire situazioni di tensione e promuovere un clima di rispetto e collaborazione all’interno delle strutture carcerarie.
L’obiettivo non dovrebbe essere semplicemente quello di reprimere il dissenso, ma di favorire il percorso di riabilitazione dei detenuti, preparandoli al loro reinserimento nella società e contribuendo alla sicurezza pubblica.
La rivolta di Marassi, quindi, rappresenta un campanello d’allarme che invita a un cambiamento radicale e duraturo nel sistema penitenziario italiano.