La recente visita a Roma, descritta con amarezza, non ha prodotto le certezze auspicabili per il futuro delle aree produttive in questione.
Lungi dall’offrire un piano strategico delineato, si è rivelata carente di una visione complessiva per la gestione integrata dei siti, con una profonda assenza di chiarezza riguardo agli investimenti necessari e, soprattutto, una pericolosa incertezza sul ruolo dello Stato in caso di esito negativo dell’assegnazione.
La mancanza di un impegno formale da parte delle istituzioni, in particolare l’assenza di una garanzia di intervento pubblico, seppur temporaneo e transitorio, per assicurare la continuità produttiva e favorire l’ingresso di nuovi capitali, ha generato un’ondata di apprensione tra i lavoratori.
Questa lacuna, percepita come un segnale di potenziale abbandono, alimenta timori concreti per la stabilità occupazionale e la sopravvivenza delle attività produttive.
Le rassicurazioni parziali, limitate a un breve periodo, si sono rivelate insufficienti e inefficaci.
La riorganizzazione interna, come la chiusura di una linea produttiva a Genova con conseguente sovraccarico di lavoro su un’altra, non solo non risolve i problemi strutturali, ma ne aggrava la situazione, creando disagi e alimentando il malcontento.
La situazione, purtroppo, non appare rosea.
L’assenza di un piano industriale solido, di investimenti mirati e di un chiaro impegno pubblico lascia presagire un futuro incerto, gravato da rischi occupazionali e da una potenziale perdita di competenze e know-how.
La necessità di un intervento governativo tempestivo e strutturale, che vada oltre le soluzioni di emergenza, si fa sempre più impellente per scongiurare conseguenze negative e garantire un futuro sostenibile per le aree produttive coinvolte.
Un’azione decisa e lungimirante è essenziale per preservare il patrimonio industriale, tutelare i lavoratori e rilanciare l’economia locale.






