Sette anni.
Un arco di tempo che tenta di inghiottire il trauma, di smussarne i contorni, ma che non può cancellare dalla memoria collettiva il quattordici agosto del 2018.
Il crollo del Ponte Morandi non è stata una semplice disgrazia, un evento naturale da cui rialzarsi con stoico fatalismo.
È stata una ferita aperta nel tessuto urbano e sociale di Genova, una frattura profonda che continua a irradiare dolore e interrogativi.
L’arcivescovo Marco Tasca, con la sua riflessione, non si limita a commemorare le 43 vite spezzate.
Egli invita a una riflessione più ampia, a un’analisi che vada oltre il mero ricordo, per abbracciare la responsabilità condivisa di un futuro più giusto e sicuro.
Quelle persone, che in un giorno d’estate attraversavano il ponte, non perseguivano vizi o piaceri effimeri.
Inseguivano la quotidianità, l’essenziale: il lavoro, la famiglia, gli studi, la possibilità di costruire un progetto di vita.
Ogni passaggio, un atto di fiducia nel futuro, brutalmente interrotto.
La tragedia del Morandi ci costringe a confrontarci con una verità scomoda: l’infrastruttura non era solo acciaio e cemento, ma un simbolo della fragilità delle nostre certezze, della nostra capacità di prevedere, prevenire, proteggere.
È un monito che esorta a una revisione profonda non solo dei sistemi di controllo e manutenzione delle opere pubbliche, ma anche dei valori che guidano la nostra società.
La tentazione di soccombere alla sfiducia, di rifugiarsi in un individualismo reattivo e paralizzante, è palpabile.
Ma l’arcivescovo Tasca ci spinge a resistere a questa deriva, a riscoprire le radici della nostra convivenza: la solidarietà, la cooperazione, un’equa giustizia, il rispetto intrinseco per l’altro, la cura premurosa per il bene comune.
Questi principi, profondamente radicati nella storia di Genova, non sono semplici virtù retoriche, ma gli elementi costitutivi di una comunità resiliente, capace di affrontare le avversità e di ricostruire un futuro di speranza.
L’onorare la memoria delle vittime significa, quindi, non solo piangere il passato, ma agire concretamente nel presente.
Significa trasformare il dolore in impegno, la rabbia in azione, la paura in coraggio.
Significa lavorare incessantemente per un mondo in cui la sicurezza, la trasparenza e la giustizia non siano parole vuote, ma principi guida che orientano ogni decisione, ogni azione, ogni investimento.
Significa, in definitiva, onorare le vittime del Morandi con una nuova, più consapevole e responsabile, dedizione al bene comune.
Il ponte è stato ricostruito, ma il compito di edificare una società più giusta e sicura è ancora in corso.