Un’ondata di mobilitazione sindacale, guidata dai collettivi Cub, Adl e Sgb, ha indetto uno sciopero generale nazionale per lunedì 22 settembre, un atto di protesta che trascende la mera rivendicazione salariale per elevarsi a denuncia politica di portata internazionale.
L’astensione dal lavoro coinvolgerà un ampio spettro di settori, sia pubblici che privati, configurandosi come un gesto di solidarietà incondizionata nei confronti della missione umanitaria della Global Sumud Flotilla e, soprattutto, un grido di allarme contro le drammatiche conseguenze del conflitto israelo-palestinese.
Il comunicato congiunto dei sindacati non si limita a esprimere preoccupazione: definisce esplicitamente le azioni del governo israeliano come espressione di una politica genocida, alimentata dalla fornitura indiscriminata di armamenti, una dinamica che il governo italiano, con un silenzio assordante e colpevole, non solo non contrasta, ma implicitamente approva.
La critica è rivolta alla postura del governo italiano, accusato di un’omissione strategica che tradisce i valori di umanità e giustizia sociale.
L’urgenza della protesta è acuita dalla crescente escalation di violenza e dalla minaccia di etichettare come “terroristi” i volontari impegnati nella missione umanitaria.
Questa intimidazione, unita agli attacchi subiti dalle imbarcazioni della Flotilla a ridosso delle coste tunisine – vere e proprie aggressioni militari –, testimonia un’escalation di rappresaglie che i sindacati giudicano inaccettabile.
L’appello non si limita a una condanna verbale: i sindacati rivendicano sanzioni concrete nei confronti di Israele, proponendo una rottura netta delle relazioni diplomatiche e commerciali.
Si tratta di un atto di coraggio che mira a isolare politicamente e economicamente una nazione accusata di violare il diritto internazionale e di perpetrare gravi crimini contro l’umanità.
La decisione di indire lo sciopero nasce da una profonda indignazione per la sofferenza inflitta alla popolazione di Gaza e dalla constatazione del crescente disinteresse dei governi europei, in primis quello italiano, che preferiscono la diplomazia del silenzio piuttosto che assumersi la responsabilità di denunciare e contrastare una spirale di violenza inaccettabile.
L’azione sindacale si configura quindi come un atto di disobbedienza civile, una rivendicazione di responsabilità politica e un appello a una coscienza collettiva che non possa più tollerare l’indifferenza di fronte alla tragedia palestinese.
Si tratta di un monito a non voltare le spalle alla sofferenza altrui e a battersi per un mondo più giusto e pacifico, dove il diritto alla vita e alla dignità umana siano inviolabili.