L’azione di ripristino dell’ordine pubblico a Ventimiglia, che ha visto lo sgombero dell’insediamento informale lungo il fiume Roya, rappresenta un capitolo complesso in una narrazione di crescente tensione lungo il confine italo-francese.
L’intervento, orchestrato dal sindaco Flavio Di Muro in stretto coordinamento con il prefetto di Imperia, Antonio Giaccari, è stato giustificato da una combinazione di fattori, che spaziano dalla necessità di garantire la sicurezza dei residenti alla rigorosa applicazione di ordinanze comunali che proibiscono l’occupazione abusiva del suolo.
L’episodio che ha catalizzato l’azione è stato un tragico evento di violenza, una sparatoria che ha lasciato due giovani migranti feriti, uno dei quali versa ancora in condizioni serie presso l’ospedale Santa Corona.
Questo atto criminale, aggiungendosi ad altre problematiche legate alla gestione dei flussi migratori, ha intensificato le richieste di un intervento deciso da parte delle autorità locali.
L’azione di sgombero, condotta all’alba da macchinari dell’edilizia e forze dell’ordine, ha portato alla verifica della posizione giuridica di trentacinque individui, riflettendo la complessità burocratica e legale che caratterizza la gestione dei richiedenti asilo e dei migranti irregolari.
La rimozione delle strutture di fortuna, seppur necessaria per ristabilire l’ordine, solleva interrogativi sulla sostenibilità di soluzioni temporanee e sulla mancanza di alternative abitative dignitose.
Il sindaco Di Muro ha sottolineato la necessità di un approccio proattivo e continuativo, preannunciando l’istituzione di un presidio permanente, dinamico, capace di contrastare la ricostituzione di insediamenti simili.
La dichiarazione, per quanto pragmatica e orientata all’azione, rivela una certa frustrazione per la difficoltà di risolvere un problema strutturale, alimentato da flussi migratori complessi e da una mancanza di coordinamento tra le diverse istituzioni coinvolte.
La questione trascende la mera gestione dell’immigrazione, toccando temi fondamentali quali la sicurezza, la vulnerabilità sociale, il diritto all’accoglienza e la responsabilità collettiva.
L’affermazione del sindaco, “la mia ruspa è sempre accesa”, pur esprimendo determinazione, rischia di cristallizzare una risposta a breve termine, senza affrontare le cause profonde del fenomeno e senza garantire una protezione adeguata a coloro che si trovano in una condizione di estrema fragilità.
Un approccio realmente efficace richiederebbe un investimento significativo in politiche di integrazione, in canali legali di accesso al territorio e in una rete di supporto sociale in grado di rispondere ai bisogni specifici di questa popolazione.