Nel cuore del suo racconto autobiografico, Fedez affronta un tema arduo e doloroso: il suicidio.
Non si limita a descrivere l’atto, l’impulso finale, ma indaga la genesi di un pensiero insidioso, la complessa rete di fattori che lo rendono possibile.
L’estratto, presentato in anteprima attraverso i suoi canali social, non è una confessione superficiale, bensì un tentativo di svelare il processo interiore che precede la decisione estrema.
Fedez definisce il suicidio non come un evento improvviso, ma come il culmine di una “gestazione” tormentosa.
Immagina un feto di disperazione che si sviluppa nell’oscurità della mente, nutrito da un accumulo di sofferenza, un sussurro incessante che erode la speranza: “basta”.
Questa metafora, potente e suggestiva, evidenzia la natura progressiva della crisi, la sua capacità di insinuarsi silenziosamente e radicarsi profondamente.
L’interruzione brusca della terapia farmacologica si rivela un elemento cruciale in questo percorso.
La decisione di abbandonare gli psicofarmaci, percepiti inizialmente come semplici “pillole”, si trasforma in un cataclisma.
Questi farmaci, paradossalmente, erano diventati parte integrante della sua identità, una barriera fragile contro un dolore insopportabile.
L’astinenza innesca una reazione violenta, un urlo lancinante del cervello che amplifica le sue fragilità.
L’esperienza è paragonata alla disintossicazione da eroina, un processo fisico e psichico devastante, caratterizzato da dolori fisici intensi, allucinazioni, confusione tra sogno e realtà.
La perdita di contatto con la propria identità, la sensazione di essere intrappolati in un inferno onirico, contribuiscono a un senso di smarrimento totale.
Il racconto si estende oltre la sfera personale, proiettandosi nell’esperienza pubblica.
La partecipazione al Festival di Sanremo, con la sua esposizione mediatica e la pressione artistica, si rivela un ulteriore amplificatore del suo stato di disagio.
Fedez si ritrova a recitare un ruolo, a nascondere il dolore dietro una maschera, mentre il caos interiore si intensifica.
Questo aspetto sottolinea la difficoltà di conciliare la vita pubblica, con le sue aspettative e i suoi riflettori, con la fragilità interiore.
Il pensiero si rivolge infine a coloro che sono rimasti, a coloro che hanno assistito al suo dolore, a coloro che hanno esaurito le loro forze nel tentativo di aiutarlo.
La consapevolezza del dolore inflitto a queste persone rappresenta un elemento di profonda sofferenza, un peso insopportabile che amplifica il senso di colpa e la difficoltà di trovare una via d’uscita.
La visione delle “facce” segnate dalle lacrime, delle persone sfiancate dall’assistenza, sigilla la tragicità della situazione, accentuando il senso di responsabilità e l’impossibilità di cancellare le sofferenze causate.
Il racconto si configura quindi non solo come un atto di coraggio personale, ma anche come un monito, un invito a guardare oltre i sintomi esterni, a comprendere le dinamiche complesse che portano alla disperazione, e a offrire supporto a chi lotta contro un nemico invisibile.