La rottura del tavolo di confronto relativo alla siderurgia nazionale, in particolare al caso dell’ex Ilva, ha lasciato i sindacati Fim, Fiom e Uilm in stato di profondo smarrimento e contestazione.
L’esperienza condivisa, un permanere a quel tavolo che rappresentava un ultimo baluardo di speranza per migliaia di lavoratori, si è infranta a causa di un’azione percepita come un vero e proprio voltafaccia, un “tradimento” imputato alle scelte politiche intervenute.
L’incontro, formalmente convocato per discutere un piano di riconversione industriale previsto per il mese di agosto, si è trasformato in un’amara constatazione: la presentazione di un documento che, a detta dei segretari sindacali Uliano, Palombella e De Palma, delineava uno scenario di chiusura definitiva, con l’inevitabile ricorso alla cassa integrazione per 6.000 unità.
Questo scenario, descritto come un “piano di morte” per l’azienda e per le comunità ad essa legate, ha generato un clima di rabbia e frustrazione tra i rappresentanti dei lavoratori.
Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha espresso con chiarezza la gravità della situazione, denunciando come la rottura del tavolo di trattativa esponga il gruppo siderurgico ad un rischio di chiusura imminente.
La mancanza di investimenti prevista nella legge di bilancio, un azzeramento a quella voce cruciale, aggrava ulteriormente la precarietà del futuro dell’Ilva.
Landini ha sottolineato la necessità impellente di una soluzione strutturale, auspicando la costituzione di una società ad hoc che coinvolga anche la presenza dello Stato, un intervento pubblico volto a sostenere il comparto e a garantire una prospettiva di sviluppo.
La Cgil si dimostra irremovibile nel suo rifiuto di accettare una chiusura definitiva, un esito che significherebbe la perdita di posti di lavoro, la distruzione di un patrimonio industriale e la devastazione di intere aree territoriali.
Il caso dell’ex Ilva, a detta di Landini, incarna una problematica più ampia, un sintomo di una gestione politica inefficace e di una visione strategica carente.
La responsabilità non può essere scaricata su fattori esterni; il governo, in carica da tre anni, ha la piena responsabilità di aver permesso il protrarsi di questa situazione di incertezza e di crisi.
L’appuntamento è ora, e la sfida è quella di evitare un disastro sociale ed economico, salvaguardando un’eredità industriale che, nonostante le difficoltà, rappresenta ancora una risorsa fondamentale per il Paese.







