La discussione sulla durata degli incarichi politici, e in particolare sul tema del mandato consecutivo, è un nodo cruciale nell’evoluzione democratica e nella percezione della rappresentanza popolare.
L’affermazione del presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, a margine dell’evento Portofino Talk, riapre un dibattito che va ben oltre la mera questione giuridica, toccando temi di legittimazione popolare, responsabilità del governante e dinamiche del consenso.
La sua argomentazione, apparentemente semplice, si radica nell’idea che la decisione finale debba spettare unicamente al corpo elettorale.
Impedire a un cittadino che ha dimostrato, attraverso il voto, di apprezzare un determinato leader, equivale a limitare il diritto di espressione della collettività e a imporre un giudizio esterno, potenzialmente arbitrario, sull’efficacia e la desiderabilità di una leadership.
Questa prospettiva sottolinea il principio fondamentale della sovranità popolare, dove il voto rappresenta la manifestazione più diretta della volontà del popolo.
Tuttavia, l’interpretazione del mandato consecutivo non può essere ridotta a una semplice equazione tra apprezzamento popolare e diritto all’incarico.
La concentrazione del potere, anche se sostenuta dal consenso iniziale, comporta rischi significativi.
La ripetizione degli incarichi può favorire la creazione di dinamiche di potere consolidate, la riduzione della competitività politica e la potenziale deriva verso forme di clientelismo e di gestione opaca.
La stagnazione delle idee e la difficoltà di introdurre nuove prospettive diventano problematiche sempre più pressanti.
La logica giuridica, spesso evocata a sostegno della legittimità del terzo mandato, non può eludere la riflessione sulla sua impronta etica e politica.
Una normativa permissiva rischia di minare la vitalità del sistema democratico, favorendo la creazione di élite consolidate e limitando la possibilità per nuove generazioni di leader di emergere e portare nuove idee.
La necessità di un ricambio generazionale e di un’apertura a prospettive diverse è un imperativo per la salute di qualsiasi democrazia.
Il voto, in definitiva, non è solo un atto di approvazione, ma anche un giudizio sull’operato del governante e sulla sua capacità di rispondere alle esigenze della collettività.
La ripetizione di un mandato non garantisce automaticamente un miglioramento della performance o una maggiore capacità di affrontare le sfide future.
L’apprezzamento iniziale potrebbe essere frutto di promesse non mantenute o di una visione che, con il passare del tempo, si è rivelata inadeguata.
La questione del mandato consecutivo, pertanto, richiede una riflessione approfondita, che vada oltre la semplice difesa della volontà popolare, per abbracciare i principi fondamentali di responsabilità, trasparenza e pluralismo che devono caratterizzare una democrazia matura.
La limitazione del numero di mandati, lungi dall’essere una restrizione della sovranità popolare, può rappresentare uno strumento per rafforzare la vitalità e la resilienza del sistema democratico, garantendo un ricambio generazionale e favorendo l’emergere di nuove idee e di nuove energie.