30 ottobre 2024 – 16:45
Efesto, il dio del fuoco, non era figlio di un dio minore, bensì il pargolo di Era stessa, che lo concepì da sola come vendetta contro i tradimenti di Zeus. Nato deforme e scagliato giù dall’Olimpo dalla madre appena nato, Efesto fu cresciuto da due ninfe con affetto ma anche oggetto di bullismo e emarginazione. Nonostante il suo ritorno nella corte divina, veniva percepito come estraneo e portatore di stigma. Paola Mastrocola racconta questa struggente storia nel suo libro “Il dio del fuoco”, edito da Einaudi e presentato al Circolo dei lettori.La scelta di concentrarsi su questo personaggio mitologico è dettata dalla bellezza ed esemplarità della sua vicenda, ricca di temi attuali e universali. Rifiutato dalla madre, Efesto viene accudito amorevolmente da due figure materne non biologiche e riesce a riscattarsi diventando il più grande artista del mondo. Tuttavia, pur trovando rifugio nell’arte, porta con sé una ferita profonda che lo rende sempre incompreso anche dopo il ritorno tra gli dei.Il rapporto travagliato con la madre si intreccia tra amore e odio, desiderio di vendetta e ricerca di pace interiore. Solo attraverso l’arte riesce a esprimere se stesso costruendo opere straordinarie come le dimore degli dei o Pandora, il primo robot della storia. Il legame fraterno con Prometeo e l’amore struggente per i mortali evidenziano la complessità dell’animo di Efesto.Il tema del dio esiliato risuona profondamente nell’autrice: una parte di lei si sente sempre incompresa ovunque vada. La narrazione romanzata delle fonti mitologiche invita il lettore a identificarsi nei personaggi divini trasformandoli in specchio delle nostre esperienze contemporanee.Mastrocola sottolinea la similitudine tra le difficoltà vissute da Efesto e quelle dei giovani odierni durante la pandemia: se inizialmente sembrava un’opportunità per sviluppare la creatività artistica, i social li hanno trascinati in una realtà virtuale alienante. La critica ai genitori che permettono ai figli di passare troppo tempo davanti agli schermi è aspra ma motivata dalla preoccupazione per il loro benessere.Infine, l’autrice rimpiange la vitalità culturale della Torino passata rispetto alla decadenza attuale: luoghi d’incontro artistici come il Cabaret Voltaire o cinema d’essai proiettanti film d’autore erano simboli di una società audace e creativa. L’appello all’osare nella cultura contemporanea è un richiamo alla rinascita di una civiltà in declino verso nuove forme espressive e artistiche autentiche.