Il calcio italiano si trova di fronte a una profonda crisi strutturale, un nodo complesso che va ben oltre le difficoltà finanziarie di una singola squadra.
L’esclusione del Castelnuovo Vomano dalla Serie D, nonostante la meritata promozione, è la tragica manifestazione di un malessere più ampio, un campanello d’allarme che risuona in tutta la piramide calcistica nazionale.
Attilio Di Stefano, anima imprenditoriale e guida del club, non si limita a denunciare una situazione contingente, ma ne svela le radici profonde.
L’imprenditoria calcistica, un tempo motore di crescita e innovazione, è oggi soffocata da un sistema che premia la speculazione e la gestione a breve termine, penalizzando chi investe con lungimiranza e passione.
La sostenibilità economica, la gestione trasparente e il rispetto dei capitali investiti sono principi fondamentali che, troppo spesso, vengono ignorati a favore di logiche rentistiche e di un’economia sommersa che prospera dietro commissioni, intermediazioni e consulenze opache.
Il confronto con i modelli calcistici europei è impietoso.
Mentre altri paesi europei investono nei vivai, costruiscono infrastrutture all’avanguardia e promuovono una cultura sportiva inclusiva, l’Italia sembra inchiodata a un passato di immobilismo e di scelte miopi, che si traducono in mancate opportunità e in un progressivo impoverimento del tessuto calcistico nazionale.
L’assenza di una guida strategica forte, un vuoto che la Federazione fatica a colmare, accentua ulteriormente questo quadro desolante.
L’accusa di Di Stefano si rivolge a chi, spesso seduto comodamente fuori dal campo, si arroga il diritto di giudicare senza conoscere le difficoltà concrete di chi, con coraggio e sacrificio, sostiene le squadre e contribuisce a mantenere viva la passione per il calcio.
Le critiche, anziché costruttive, si trasformano in attacchi ingiustificati, alimentati da una superficialità che ignora le implicazioni reali delle scelte imprenditoriali.
Il patron del Castelnuovo Vomano non rinnega il proprio impegno, né la gioia di aver portato la squadra in Serie D, un traguardo raggiunto con fatica e dedizione.
Quella vittoria, condivisa con un ristretto ma fedele gruppo di tifosi, rimane un momento indimenticabile, una testimonianza di sport genuino e di valori condivisi.
La delusione, tuttavia, è palpabile.
Di Stefano lamenta un’illusione infranta: quella di poter condividere un progetto ambizioso con persone prive di visione, ancorate a modelli obsoleti e incapaci di abbracciare il cambiamento.
Il futuro del calcio italiano, secondo Di Stefano, dipende dalla capacità di superare queste resistenze, di liberarsi da schemi preconcetti e di costruire un sistema più equo, trasparente e sostenibile.
Un sistema che valorizzi il merito, promuova i talenti e metta al centro la passione per il gioco più bello del mondo.