La vetta del Gran Sasso d’Italia, sentinella impervia dell’Appennino, custodisce storie di dedizione e resilienza, incarnate in figure come Luca Mazzoleni, Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Il riconoscimento non è semplicemente un onore, ma il sigillo di un impegno plurisecolare che lega l’uomo alla montagna, un patto di cura e responsabilità che si tramanda attraverso generazioni di rifugisti.
Il rifugio Carlo Franchetti, arroccato a 2.433 metri sul versante teramano, è molto più di un semplice punto di ristoro per escursionisti e alpinisti diretti verso il Corno Grande e il Corno Piccolo.
È un presidio strategico, un nodo cruciale di sicurezza, assistenza e trasmissione di informazioni vitali per chi affronta le sfide di quell’ambiente aspro e mutevole.
La sua posizione lo rende un osservatorio privilegiato sulle dinamiche ambientali del massiccio, e l’installazione di una stazione meteo d’alta quota ne ha amplificato il ruolo, fornendo dati essenziali per la previsione dell’innevamento e la valutazione delle condizioni della montagna, elementi cruciali per la sicurezza di chi la frequenta.
L’esperienza di Mazzoleni, iniziata negli anni Ottanta con la gestione del rifugio Duca degli Abruzzi, si è poi concretizzata in una conduzione ininterrotta del rifugio Carlo Franchetti dal 1988.
Questi oltre trentacinque anni non sono solo anni di lavoro, ma di apprendimento profondo, di assunzione di responsabilità e di partecipazione attiva alla vita del massiccio.
Mazzoleni ha rappresentato una figura di riferimento per la comunità alpinistica, offrendo non solo ospitalità, ma anche informazioni precise e supporto logistico, diventando spesso un anello fondamentale nelle catene di soccorso, un ruolo particolarmente delicato in un’epoca in cui le comunicazioni in alta quota erano precarie e l’accesso immediato ai soccorsi non scontato.
La sua conoscenza del territorio e la sua capacità di problem solving si sono rivelate risorse imprescindibili in situazioni di emergenza.
La storia di Luca Mazzoleni e il suo legame profondo con il Gran Sasso sono stati recentemente immortalati nel libro e nel documentario “Chi apre serra.
40 anni nei rifugi del Gran Sasso”.
Quest’opera non solo ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera, ma offre una riflessione più ampia sul ruolo dei rifugisti come custodi di un patrimonio naturale e culturale inestimabile, come mediatori tra l’uomo e la montagna, come testimoni silenziosi di un mondo che muta incessantemente.
Il suo racconto è un invito a riscoprire il valore dell’ospitalità, della resilienza e del rispetto per l’ambiente, un monito a non dimenticare il legame indissolubile che ci unisce alla montagna e alle persone che la proteggono.






